venerdì 15 ottobre 2021

Giulio Locatelli - Galleria Ghiggini 1822

 


intervista di Michele Gavazza



Intervista al giovane e talentuoso Giulio Locatelli. L’artista bergamasco in occasione della sua installazione presso la galleria Ghiggini 1822 ha risposto a qualche domanda:

HM: Parlaci un po’ dell'installazione “Fondamenta” realizzata presso la Galleria Ghiggini 1822 di Varese

GL: Fondamenta, un’installazione realizzata presso la Galleria Ghiggini 1822 in occasione della Varese Design Week, si pone l’obiettivo di condurre lo spettatore a perdersi e ritrovarsi quasi fosse all’interno di un labirinto.
Gli elementi costitutivi dell’opera sono appunti, antologie di fatti, raccolte di storie, di favole, di fiabe, di avventure accumulate, che ci conducono all’interno di un viaggio
sognato, desiderato all’interno delle fondamenta di una città ideale.
Un viaggio senza meta, con lo sguardo rivolto all’orizzonte distorto e frammentato da una
serie di puntelli che per proprietà ci invitano in un ambiente in costruzione, forse
pericolante.
Una sorta di cantiere, che altro non è che la traduzione visiva di un’idea in fase di
concretizzazione.
Così come per Teseo il filo di Arianna è divenuto strumento per segnare la strada percorsa
nel labirinto, i fili presenti in Fondamenta diventano strumenti salvifici per ripercorrere il
proprio vissuto, le proprie strade e trovarne così di nuove e, chissà, riuscire così ad uscire
dal labirinto delle Fondamenta.

HM: Il filo è il mezzo espressivo che prediligi, quali sono le caratteristiche che più apprezzi e
quando hai iniziato ad usarlo?

GL: La carta ed il filo sono strumenti materiali che mi aiutano a concretizzare le idee della
mente, che altrimenti prenderebbero freddo.
Il filo ho iniziato a conoscerlo durante il mio percorso accademico. Vengo da una formazione scientifica, pertanto, tutti gli strumenti tecnici del campo artistico erano a me nuovi.
A seguito di un primo approccio importante con la carta fatta a mano, mi sono domandato
cosa sarebbe successo se io avessi iniziato a cucire la mia carta.
Così è iniziato il mio rapporto amoroso con il filo.
In Fondamenta filo e carta danno forma ad una riflessione in merito all’accumulo.
Tale ragionamento ha preso vita a partire dal termine giapponese “tsundoku”, il quale
indica l’abitudine di acquistare libri e di lasciarli sullo scaffale senza mai leggerli, situazione
che spesso ci si trova a vivere.

HM: Da cosa o da chi trai ispirazione?

GL: Non ho un unico riferimento nella mia ricerca, attingo dalle più disparate suggestioni.
Credo che sia una questione di saper cogliere, quasi per caso, come fosse un inciampo,
quell’elemento che ti può smuovere determinati pensieri che concretizzi attraverso il lavoro
artistico.
Attingo da racconti, film, storie passate, artisti che hanno analizzato determinate tematiche,
gli spunti sono molti e forse infiniti, dopo di che si tratta di saper far proprio il lavoro,
attraverso la propria esperienza, conoscenza e vissuto.

HM: Quali saranno i tuoi prossimi progetti?

GL: Parte della mia ricerca artistica pone l’occhio anche sulla tessitura, realizzo FLYING
CARPET, dei veri e propri tappeti volanti, progetti che vedono la partecipazione di più
persone, d’altra parte, i fili, i nodi, i grovigli che compongono i tappeti diventano metafora
delle relazioni instaurate con altri.
Nei mesi appena trascorsi ho avuto la suggestione di far galleggiare sull’acqua un mio
tappeto. Sto realizzando il progetto, dai materiali alla scelta del luogo.
In parallelo sto collaborando con Supestudiolo, curato da Alberto Ceresoli e Carmela Cosco,
alla realizzazione di una mostra nei mesi a venire.





giovedì 7 ottobre 2021

Luca Gilli - Il bianco come vuoto generatore


intervista di Michele Gavazza 


Una interessante intervista al fotografo Luca Gilli.

HM: Da zoologo a fotografo, come e quando nasce la tua passione per la fotografia?

LG: Mi sono avvicinato alla fotografia con metodo e progettualità sul finire degli anni ‘80 come pratica di supporto alle ricerche scientifiche che conducevo in natura e in laboratorio. A quell’epoca mi occupavo di ecologia e zoologia all’Università di Parma e le fotografie, se fatte bene, erano uno strumento quanto mai utile. Per essere più precisi, le mie prime serie di scatti risalgono al 1988 e riguardano una piccola area naturalistica che oggi si chiama Riserva Naturale Orientata Fontanili di Corte Valle Re, su cui avevo iniziato una ricerca riguardo al prezioso patrimonio zoologico di questo fragile ambiente residuale di pianura nel comune di Campegine (RE). A posteriori mi sembra di poter dire che questo mio periodo quasi esclusivamente “scientifico /naturalistico” sia stato una valida scuola, un’importante fase di affinamento della mia sensibilità visiva e, soprattutto, di miglioramento tecnico, un perfezionamento tecnico fondato sulla “precisione”.

HM: Il bianco è uno dei protagonisti della tua fotografia, cosa rappresenta per te?

LG: Il bianco è tabula rasa, è vuoto generatore, è, per così dire, spazio di ricomposizione tra l’essere e la memoria, penso ad esempio allo yohaku di Lee Ufan, ai White Painting di Robert Rauschenberg, che John Cage definì in modo perfetto come “schermi ipersensibili”, e, ancora, ai dipinti di Robert Ryman. Il bianco è anche luce, che è madre in fotografia. E la luce, per sua stessa natura, è mutevole e ambigua come la vita, è vita, è conoscenza, è rivelazione, è il tramite principale delle nostre interazioni con il mondo. Far luce significa anche avere il coraggio di vedere, di entrare in relazione, di mettere e mettersi in discussione, insomma, avere il coraggio di esporsi, di penetrare sempre un po’ più avanti nell’animo umano, nei luoghi e nelle situazioni; significa essere predisposti a lasciarsi sorprendere, a sporgersi oltre la soglia della propria consuetudine, a perdersi nell’alterità e nelle sue relazioni con noi stessi. Credo che per molti aspetti la luce possa essere addirittura più misteriosa e profonda del buio poiché rivela e nel rivelare può restituire parte dei loro misteri alle cose e ai luoghi, può risvegliare in noi quella trascendenza che ci caratterizza e che purtroppo oggi mi sembra abbastanza sopita e mortificata. È fin troppo facile aggiungere che la luce comprende anche l’ombra, ne è all’origine. Come ha scritto Luca Doninelli nel bellissimo recente testo, ancora inedito, dedicato al mio nuovo progetto “Incognita” che esporrò in anteprima dal 7-10 ottobre al MIA (Milan Image Art Fair) di Milano, “l'ombra (del destino, della morte, del nulla oppure di Dio) non è quella che cade sotto l'obiettivo ma quella che l'artista trattiene nel silenzio, mentre meticolosamente ordina i suoi oggetti, i suoi spazi per poi ritrarli con umile fedeltà.”

Per me il bianco è anche strettamente legato al mistero del vuoto e della leggerezza, aspetti/fenomeni che sono in qualche modo altri ingredienti fondamentali della mia fotografia. Come ho già detto in diverse altre occasioni, quella che pratico fotograficamente, o che credo di praticare, si manifesta come una sorta di rarefazione onirica, come una specie di trasfigurazione “precisa” (anche se può sembrare una contraddizione in termini) che parte esattamente da quella che chiamiamo realtà, senza sapere bene di cosa stiamo parlando, e rispettandola la prende per mano per quello che è per accompagnarla lentamente nel territorio del limite, di possibilità altre.

Spesso immagino di essere immerso in una specie di densa atmosfera ossidativa che fa lievitare i miei soggetti e sospende ogni “giudizio” come continua ricerca di libertà e di quell’insondabile che abita luoghi, cose e persone. 

Tra l’altro, in questo ormai piuttosto lungo cammino mi accompagnano fin dagli inizi, come una specie di mantra, alcune celebri frasi fondamentali, almeno per me, di grandi autori, come ad esempio quella di Italo Calvino, tratta delle Lezioni americane, che dice “La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”.

HM: Da cosa trai ispirazione?

LG: L’ispirazione e le sue fonti restano un bel mistero. Come dico sempre ogni progetto, ogni fotografia è la sintesi di tanti aspetti: progettuali, tecnici e culturali, reali e irreali, personali e ambientali, consci e inconsci, razionali ed emozionali, gestibili e ingestibili. Un bel guazzabuglio di fattori che, di volta in volta, agiscono e reagiscono tra loro per poi condensare nelle immagini. Oltre alla progettualità e allo studio, sempre fondamentali nella mia pratica fotografica, probabilmente quello che mi continua a muovere, lo ripeto spesso, è anche la ricerca, quasi certamente utopica, di quell’energia ultrasottile che, assimilati studio e consuetudine, concetti e significati, si libera quando un qualcosa tocca un suo punto estremo e lì abbandona tutto per essere soltanto quello che è. Voglio credere che da lì, oltre quella soglia, ci si possa incamminare verso nuovi orizzonti, nuove possibilità, nuove prospettive. Così come credo che i particolari, di cui sono fatte la realtà e la nostra vita, contengano sempre l’universale se li s’interroga con onestà intellettuale e li si apre al mondo. 

Le mie ricerche fotografiche sono comunque anche delle avventure gratificanti, delle intense, almeno per me, esplorazioni interiori ed esteriori. Non di rado vado dove mi porta la vita con le sue circostanze e i suoi incontri più o meno casuali. A volte i progetti prendono spunto da committenze. Comunque sia, la mia attenzione è rivolta principalmente all’ordinario più che allo straordinario, seppur con delle evidenti eccezioni. Siamo fatti così, dove non c’è un po’ di contraddizione non credo ci sia vita vera ! Fortunatamente esiste sempre uno scarto fertile e spesso imprevedibile tra l’idea, il progetto, e la sua realizzazione.

Per finire, aggiungo che nel mio agire fotografico c’è anche un intento per così dire ecologico, di resistenza attiva all’indifferenza e all’omologazione, alla globalizzazione del pensiero e della visione, un bisogno profondo di prendersi cura dello sguardo e della realtà che ci circonda per accogliere e custodire l’intensità e la memoria delle esperienze, delle relazioni e della bellezza in ogni sua più piccola declinazione. E’ urgente riscoprire una tensione etica, ancor prima che estetica, verso la sostenibilità della semplicità, verso l’importanza del segno meno, senza peraltro mortificare e appiattire la forma in modo solo pretestuoso e manieristico. Probabilmente è in questa direzione che si possono anche mobilitare alcune di quelle risorse individuali e collettive che, a mio parere, rappresentano un primo necessario presupposto per iniziare a dipanare l’aggrovigliata matassa di quella complessità traboccante di eccessi, contraddizioni, problemi e ingiustizie in cui ci troviamo immersi e che ci affligge.

HM: Cosa vorresti riuscire a trasmettere a chi guarda le tue fotografie?

LG: Almeno in parte credo di aver già risposto a questa tua domanda. In ogni caso, posso aggiungere che quando penso alle mie foto le immagino come semplici inneschi per accompagnare me stesso e chi osserva appena oltre la soglia degli schemi precostituiti spostando l’attenzione e il pensiero dalle cose alle relazioni tra le cose, così da portare a considerare oggetti, spazi e momenti come nodi di fenomeni. Tutto ciò proprio a partire dalla loro immobile presenza. Per loro stessa natura e specificità le fotografie sono infatti delle “grandi” pause e ci aiutano a fare pausa. Pause che, appunto, possono contenere e generare fertili movimenti del pensiero e delle emozioni, che possono andare oltre il loro corpo finito per aprire visioni e riflessioni sui processi che le hanno generate e su di noi che le guardiamo. Pause, talvolta sfuggenti e imprendibili, che per essere avvicinate, accolte, richiedono comunque tempo, pazienza e intimità, che hanno bisogno di cura e di una reale predisposizione all’ascolto, al mettersi in gioco senza fretta, al lasciarsi coinvolgere. Un esercizio fondamentale da ripetere spesso, e lo dico prima di tutto per me stesso, visto che purtroppo stiamo diventando sempre più allergici a tutto ciò che richiede più tempo, attenzione e impegno dei pochi secondi tra due clic sul mouse.

Qualcuno, se ricordo bene Gilles Deleuze, ha detto che il problema non è di trovare un modo perché la gente si esprima: lo fa fin troppo. Si tratta piuttosto di procurare loro degli interstizi di solitudine e silenzio in cui possano trovare finalmente qualcosa di vero da dire. Ecco vorrei che la mia pratica fotografica e le foto che ne derivano avessero qualcosa in comune con questo tipo d’interstizi e di verità, anzitutto per me stesso e poi per gli altri. Ben consapevole che fotografo non solo con gli occhi, ma con tutto il corpo, dalla testa ai piedi, per riprendere quello che Lea Vergine diceva della scrittura, e ben consapevole, come ha detto qualcun altro, che nella fotografia, come nel teatro, tutto è finto, ma niente è falso.






domenica 3 ottobre 2021

Federico Scarioni - Assessorato all'Estetica

 


Da un'idea dello scrittore Federico Scarioni, qui di seguito il Documento Programmatico:

L’Assessorato all’Estetica, nell’ordinamento amministrativo dei Comuni d’Italia, si pone come un

“Assessorato istituzionale”, pertanto indipendente nella sua azione politico – istituzionale, non

dipendente da alcuno schieramento politico. Per affermare la sua natura indipendente, l’Assessorato

all’Estetica nasce solo su nomina Sindacale, non ha compenso e ha una durata inferiore al mandato

amministrativo della giunta insediata.

Gli ambiti di azione politico-istituzionale dell’Assessorato all’Estetica sono quelli del “federalismo

paesaggistico”, del rispetto delle caratteristiche autoctone dei luoghi, della gestione consapevole

del territorio inteso come dimensione spaziale e temporale dove coesistono uomo, ambiente, altri

animali e più in generale energia condivisa. Rivoluzionario nel pensiero, ma conservatore

nell’anima, progressista nelle idee ma tradizionalista nella pratica, l’Assessorato all’Estetica mira a

stravolgere il pensiero politico e burocratico odierno in materia urbanistica e culturale, ponendo

tuttavia le basi sul miglior esistente.

L’Assessorato all’Estetica è un assessorato aggiuntivo, nuovo, che deve porsi come tramite tra le

scelte degli Assessorati all’Urbanistica ed Edilizia Privata, aprendo il confronto di essi con

l’Assessorato alla Cultura. Le decisioni in termini urbanistici, debbono passare dunque da un

aperto confronto con la dimensione culturale riconosciuta. Gli scriventi e i firmatari sono infatti

convinti che una corretta gestione urbanistica dei Comuni Italiani non possa precludere il confronto

con il pensiero, con le riflessioni e con la letteratura degli ambiti culturali, storici e artistici.

L’Assessorato all’Estetica nasce come antidoto o vaccino contro il virus dell’analfabetismo

culturale che è terreno di coltura della bruttura e della barbarie che ammorbano il nostro Paese

Italia, disseminato di bellezza ma corrotto da scelte spesso in completa asincronia con il pensiero,

la cultura, il gusto e la storia d’Italia.


L’Assessorato all’Estetica opera esclusivamente per gli obiettivi definiti dal documento

programmatico, rivendicando tuttavia la sua autonomia nell’applicazione a seconda del contesto

specifico, contribuendo dunque a sviluppare il presente documento di programma, documento

aperto, che potrà subire modifiche nel tempo.

Alcuni ambiti pratici di intervento istituzionale che vengono esemplificati sono:

 Creazione armonico visiva delle aree cromatiche del paese a seconda della loro

collocazione geografica e delle loro caratteristiche spazio/temporali.

 Definizione di un piano di illuminazione nel rispetto della sicurezza stradale e della

paesaggistica; tali sistemi attiveranno le zone del paese a seconda della circolazione

monitorata a livello tecnologico e automatico; previsto un sistema di spegnimento

automatico nel periodo notturno, laddove non vi è circolazione, per permettere all’uomo un

contatto più ravvicinato con le stelle e la natura consentendo anche agli altri animali minore

stress.

 Utilizzo di materiali autoctoni ed ecosostenibili per la realizzazione di pavimentazione e

arredi esterni pubblici, con la contestuale eliminazione di materiali di provenienza non

locale.

 Valutazione degli arredi urbani a seconda del contesto storico, con la contemporanea

proposta di installazione di opere d’arte di pubblica e continua fruizione.

 Valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico locale, attraverso la proposta di

ristrutturazioni conservative e la realizzazione di visite che possano promuoverne la

bellezza.

 Proposta per la realizzazione di pubblicazioni specifiche sui luoghi di interesse culturale,

artistico e storico del territorio.

 Piantumazione di vegetazione di natura autoctona e sradicamento della vegetazione

pubblica allogena.

 Ridefinizione del piano di segnaletica verticale, nel rispetto del codice della strada e della

sicurezza vigente, attraverso l’eliminazione di cartellonistica superflua e il contestuale

potenziamento della segnaletica orizzontale, sempre nel rispetto dell’armonia visiva. Con lo

stesso spirito, eliminazione della cartellonistica pubblicitaria abusiva, contenimento del

numero delle concessioni e adattamento delle stesse al contesto urbano.

 Promozione di una migliore cura e attenzione del territorio, che coinvolga la popolazione

residente prima di qualsiasi voglia intervento urbanistico o architettonico che produca in

maniera permanente un cambiamento; il dialogo con la popolazione residente, permetterà il

miglior sviluppo e la coesione delle scelte ambientali e umane.

Un futuro da reinventare, con meraviglia, in una rivoluzione estetica nel rispetto dell’uomo,

dell’ambientale, del clima e per la giustizia sociale.

Gli scriventi e i firmatati sono infatti convinti che la creazione di un luogo esteticamente migliore

che vive armonicamente con il suo contesto di riferimento storico, paesaggistico e culturale, sia più

idoneo alla vita umana e facci crescere l’individuo in una consapevolezza di sé più compiuta.

Vivere in un paese bello, sarà veicolo di partecipazione maggiore alla vita sociale e al suo sviluppo,

creerà un contesto più ordinato e sicuro, di cui i cittadini avranno rispetto. Le comunità stesse

diverranno così elementi primari dell’armonico processo di elevazione verso una società migliore.

Lunedì 27 settembre 2021, Robecco sul Naviglio (Mi).

Promotore:

Federico Scarioni

Primi firmatari:


Giuseppe Abbati

Giorgio Attila Bertarelli

Alberto Clementi

Francesco Oppi

Federico Scarioni

Emanuele Torreggiani


Dichiarazione

Nell’agosto del 2016 invitai il Professor Vittorio Sgarbi a Mesero (Mi), dove ero assessore alla

Cultura, per celebrare l’avvenuto riconoscimento a “Città” del mio piccolo comune. Sono da

sempre stato affascinato dalle sue lezioni in televisione e la mia passione per l’estetica, la filosofia

estetica in particolare (il mio indirizzo di laurea), mi ha sempre portato a seguire con curiosità le

sue proposte politiche e istituzionali. Per l’evento a Mesero chiesi al Professor Sgarbi di tenere una

lezione sull’arte antica, attraverso un percorso di approfondimento rivolto ad alcuni quadri di

pittori famosi disseminati nel nostro territorio. Partimmo da una tela di Bergamo fino ad arrivare a

La Deposizione di Cristo di Simone Peterzano, che si trova presso la Chiesa di San Giorgio

Martire a Bernate Ticino, comune poco distante da Mesero. La storia vuole che un giovane

Caravaggio collaborò all’opera del Peterzano. Sgarbi volle quindi vedere questo meraviglioso olio

su tavola di tiglio e rimase estasiato anche della chiesa di Bernate Ticino. Concluso il giro

turistico, ci fermammo in un bar, rimasto aperto fino alle 3 di notte quando i proprietari ricevettero

la notizia dell’arrivo del famoso critico d’arte, a mangiare fette di salame e bere una limonata.

Ricordo ancora con gran piacere quel momento. Sgarbi era allora “Assessore alla rivoluzione” del

Comune di Urbino e mi era rimasto molto impresso il suo “partito della bellezza” con cui, anni

prima, si era candidato a un’elezione nazionale e che diventò poi il titolo di un suo libro. D’istinto,

con un po’ di imbarazzo, gli proposi un’idea: “Perché non creiamo a Mesero ed Urbino un

Assessorato all’estetica, una sorta di unione tra gli assessorati all’urbanistica e alla cultura? Così,

forse, eviteremmo tante brutture disseminate nel nostro meraviglioso paese Italia”. Sgarbi alzò gli

occhi, mi guardò sorridendo: “Buona idea, la faremo!”. Fui molto felice del suo placet ma, anche

se non so se lui si ricordi di quel momento, per me fu un’illuminazione. Dopo qualche anno lui

lasciò l’Assessorato di Urbino e io terminai il mio percorso come Assessore di Mesero. Nel 2019,

con le nuove elezioni, mi ricandidai proponendomi come “Assessore all’estetica”, come primo

momento di sperimentazione politico-istituzionale, ma il mio gruppo politico perse per pochi voti.

L’Assessorato all’estetica rimase quindi un “sogno nel cassetto” che ho deciso di estrarre dal

polveroso mobile dei ricordi e riproporre in occasione delle elezioni amministrative del 3 e 4

ottobre 2021, quando andranno al voto numerosi capoluoghi e comuni d’Italia. I primi firmatati di

questo progetto, che con me condividono gli intenti, intendono affermare che lo sviluppo e il

miglioramento della società debbano necessariamente passare attraverso una riflessione estetica

dei luoghi in cui viviamo. Si propone quindi questo modello, un nuovo assessorato, di natura

istituzionale, che risponda a esigenze di sviluppo urbanistico secondo un pensiero culturale ed

estetico di sviluppo del nostro paese Italia. I firmatari propongono quindi un “flash mob” politico,

chiedendo a tutti i neo sindaci insediati di nominare contestualmente e alle elezioni il rispettivo e

primo “Assessore all’estetica” d’Italia.

Federico Scarioni


Il promotore dell’Assessorato all’Estetica, nel rispetto del presente documento di programma e

nell’ottica di un “flash mob politico” indica, a loro insaputa, alcuni candidati al ruolo di Assessori

all’Estetica dei comuni al voto nelle elezioni del 3-4 ottobre 2021.

I seguenti nominativi corrispondono a intellettuali, artisti, più in generale a persone che si sono

contraddistinte per attività legate al “pensiero del bello” e alla conversazione di un pensiero

indipendente:

Manuel Agnelli per Cassinetta di Lugagnano

Antonella Agnoli per Bologna

Gabriele “Red Ronnie” Ansaloni per San Giovanni in Persiceto

Marta Barcaro per Borgo Ticino

Marcello Baraghini per Capalbio

Francesca Battiato per Savona

Anna Benetazzo per Villa Cortese

Cristian “Bugo” Bugatti per Novara

Stefano Boeri per Caravaggio

Marco “Morgan” Castoldi per Arcore

Roberto Cavallo per Pinerolo

Mario Cantella per Val di Nizza

Angelo Piero Cappello per Vittoria

Dino Colombani per Quarna Sotto

Andrea Corona (Propaganda) per San Giuliano Milanese

Mauro Corona per Vajont

Giuseppe Conte (poeta) per Pompeiana

Maurizio Ferraris per Bardonecchia

Silvio Formichetti per Sulmona

Alessandro Gassman per Fiano Romano

Luca Garavaglia per Gallarate

Flaminio Gualdoni per Garlasco

Matteo Guarnaccia per Assisi

Pasquale Leccese per Cisternino

Franco Manzoni per Morterone

Daniela Mena per Nave

Manuel Morandi per Nerviano


Giulio Rapetti (Mogol) per Moniga del Garda

Giampiero Mughini per Caltagirone

Andrea Napoli per Treviglio

Daniele “Bros” Nicolosi per Rho

Dario Olivero per Dairago

Mauro Pagani per Anfo

Aron Pandolfi per Pioltello

Omar Pedrini per Castel Mella

Antonio Carlo Ponti per Bevagna

Patty Pravo per Fossò

Elisa Pozzoli per Domodossola

Vittorio Sgarbi per Roma e primo Ministro dell'Estetica

Maurizio Spada per Milano

Luana Solla per Macugnaga

Carla Sozzani per Orosei

Vasco Rossi per Zocca

Marco Tacchella per Peschiera Borromeo

Cristina Terrani per Gropello Cairoli

Oliviero Toscani per Codogno

Federico Traversa per Portofino

Andrea Villani per Felino

Emanuela Zanetti per Varese

Elisa Zanoni per Lesa

Stefano Zecchi per Caorle


giovedì 30 settembre 2021

Anita Morvillo - light design


 intervista di Michele Gavazza

Intervista all’architetto e designer Anita Morvillo 


HM: Puoi raccontarci qualcosa del lavoro presentato al Superstudio?

AM: L’installazione ArchDesign ideata per lo spazio espositivo di Superstudio Maxi è

composta da cinque corpi scultorei luminosi. Tali oggetti sono prodotti

manualmente da me stessa mediante una tecnica artigianale il cui principio di

manifattura è di natura tessile con l’utilizzo di filamento metallico.

Attraverso la mera tecnica di giustapposizione e sovrapposizione di moduli

reticolari rigidi ottenuti mediante tessitura prendono vita corpi traslucidi,

tridimensionali, caratterizzati da illusionismo. Ho concepito l’installazione

ArchDesign al fine di presentare cinque corpi luminosi e la loro relazione reciproca

e con lo spazio espositivo, mediante rapporti proporzionali e di misura. Le cinque

strutture si presentano come scheletri portanti, invocando l’immagine di strutture

architettoniche di alcuni grattacieli. In tale fascinazione dimostrò una mia

consapevolezza e conoscenza in campo architettonico e strutturale, la quale deriva

dagli studi in architettura condotti. Nelle mie sculture il concetto di forma non si

fonda su principi estetizzanti ma deriva dal funzionamento meccanico di una

struttura. Gli oggetti sono il risultato di un processo di costruzione concepito a

partire dalle specifiche qualità fisiche dell’acciaio in forma di filamento e dalla

necessità di dar vita a strutture che possano stare in piedi da sole esattamente

come edifici. L’installazione ArchDesign proposta è stata concepita per permettere

al visitatore di fare esperienza di tali sculture luminose ponendosi in un confronto

fisico diretto con quest’ultime grazie all’affinità di proporzioni tra le dimensioni

dell’oggetto stesso e le misure del corpo umano di colui che ne farà esperienza.

Inoltre, la complessità generata dalla tridimensionalità e l’illusionismo del manufatto

implicano una conoscenza di quest'ultimo non solo attraverso il corpo ma anche

attraverso gli occhi della mente, invocando quindi la facoltà dell’intelletto. A tali

concezioni è associato l’attento studio della luce naturale e artificiale, concepita non

come mero elemento funzionale di pura illuminazione, ma come parte integrante

nell’elaborazione artistica del manufatto. La luce è lo spirito stesso del corpo

metallico, si rivela come l’anima che fa brillare lo stesso, nella percezione di un

sentore di vita.


HM: Come funziona, a grandi linee, la tessitura del filo metallico?

AM: Da un punto di vista tecnico il metodo di lavorazione consiste in un processo di

tessitura che ho inventato utilizzando filamenti di ferro e acciaio. Il processo di

tessitura è preceduto da un processo di irrigidimento dei filamenti metallici, poiché

utilizzo fili di diametro inferiore al millimetro e che quindi sono reperibili solo sotto

forma di rocchetto. Dopo questo procedimento pratico una sorta di tessitura,

utilizzando filamenti irrigiditi e creo moduli in forma di frammenti di un tessuto

metallico rigido che successivamente assemblo per giustapposizione e

sovrapposizione per dare vita ad un corpo tridimensionale e complesso.


HM: Da cosa trai ispirazione?

AM: Ciò da cui mi sento più attratta quando mi guardo intorno per trovare ispirazione è il

concetto di struttura. Quest’ultima è da me concepita come intelaiatura portante

spesso nascosta ma presente in ogni cosa intorno a noi: dalla struttura che

contraddistingue un edificio allo scheletro che contraddistingue un organismo

vivente come quello delle specie animali e vegetali. Una struttura è per me

estremamente affascinante sia per la complessità del suo funzionamento sia per

quanto riguarda le sue forme. Le due lampade gemelle Liquid Mass I e Liquid Mass

II ad esempio sono il risultato di uno studio formale di tre diverse specie di

Siphonophorae, specie di Medusae comunemente chiamate Meduse,

accuratamente riportate attraverso disegni di dettaglio dallo zoologo e artista Ernst

Haeckel nel libro Kunstformen der Natur, 1904. Tali rappresentazione io stessa ho

ridisegnato nell’ordine per assorbire principi formali, proporzioni e comportamenti.

Inoltre le cinque strutture che costituiscono l’installazione si presentano come

scheletri portanti, invocando l’immagine di strutture architettoniche di alcuni

grattacieli. La purezza delle forme che contraddistinguono le due lampade

scultoree gemelle Liquid Mass I e Liquid Mass II si ispira alle forme eleganti e

raffinate dell’utopico grattacielo di Vetro di Mies van der Rohe, osservato da

Friedrichstraße a Berlino. La perfezione delle forme geometriche triangolari e

quadrangolari che risalta nella complessa visione d’insieme della lampada X-Ray è

ispirata dal disegno dei piani degli appartamenti e uffici della Price Tower di Frank

Lloyd Wright a Bartlesville, Oklahoma. Da ultimo esempio Il significato del tubo

prismatico, che trapassa quasi violentemente la sottile membrana, della lampada

Aulosphaera Elegantissima, è anche di natura strutturale e trova la sua ispirazione

nel pilastro inclinato che irrompe nell’Auditorium Plantahof di Landquart, in

Svizzera, di Valerio Olgiati. Da un punto di vista teorico invece i miei oggetti sono

ispirati ad alcuni temi relativi alle nozioni di spazio, materialità, tridimensionalità,

appartenenti alle concezioni artistiche della corrente del Minimalismo Americano,

con particolare riferimento al saggio: "Specific Objects" di Donald Judd 

che ho studiato appassionatamente durante gli anni in cui ero studentessa.


HM: Tra architettura e design in quale ambito ti senti più a tuo agio?

AM: Non credo io possa essere in grado di rispondere a questa domanda in modo

esaustivo. Essendo ancora giovane non ho ancora praticato la professione di

Architetto in modo completo e sufficientemente professionale per poter definire una

mia posizione nei riguardi di ciò che è l’Architettura. Posso solo dire che studiare

Architettura è stato per me un percorso formativo di estrema complessità,

arricchimento, scoperta e passione, anche grazie alla qualità di insegnamento

dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. La materia architettonica è

contraddistinta da pragmatismo o poesia ed è per questo motivo che è e sarà

sempre parte di me stessa, perchè in fondo anche io sono così. Il motivo per cui mi

sono affacciata all’ambito del design è stato perchè il mio desiderio più grande era

costruire, in modo diretto e completo, con le mie mani e la mia mente. Il costruire

oggetti di design mi ha dato la possibilità quindi di applicare regole architettoniche

in scala più piccola, quella dell’oggetto. Quello che forse sento non appartenermi di

ciò che contraddistingue la realtà della materia architettonica e degli uffici di

architettura oggi giorno è l’eccessivo utilizzo di strumenti digitali, i quali credo, se

eccessivamente utilizzati sono in grado di compromettere la potenza immaginativa

e creativa di un artista, designer, o architetto.











domenica 19 settembre 2021

Melody Gygax - Photo Editor/Curator

 




We had the chance to interview Melody Gygax the Swiss agent of MAGNUM PHOTOS.
Photography has been at the centre of her life for over 25 years, first as a picture editor for various medias for many years and most recently as head of photography at the Basler Zeitung.
As a photo editor/curator she nowadays works with brands, advertising agencies, corporate publishers, photo galleries, cultural institutions and photographers.
Melody is a regular jury member for photography competitions, is active as a qualified juror, teaches photography in the areas of curation, conception, editing & storytelling and is a long-standing expert on various portfolio reviews.

HM: How and when was your passion for photography born?
MG: I grew up with a darkroom in the basement and with my father's pride in
his Leica M4. He was not a photographer, but a chemist and physicist, 
so for him the technology and the zone system of Ansel Adams were the most interesting aspects.
So as a teenager I began to experiment with his camera and in the darkroom with baryta paper.
After graduating from high school I started an internship at a photographers studio in Zurich 
and this led almost automatically into an apprenticeship.
And here my problem started: Technology has never really interested me. A small dilemma.
My father just said I knew that from the beginning, you'll just have to get through it.
Ok. Of course I have not passed the practical final apprenticeship exam,
the technique was highly rated and not the narrative. But I was interested in the narrative.
So I quickly changed sides and became a picture editor. Photography is my vocation 
and my way, which I’m communicating with the photographers.

HM: What's your point of view on photo projects that work or don't work?
MG: The answer of that question seen through my background coming from
the narrative. I use my work for the judging of the current competition at
the Verzasca Foto Festival www.verzascafoto.com/contests 
as a statement: my criteria were mainly relevance, further of course the
narrative, authorship, research (meaning knowledge) and editing.
How do I see the personality of the photographer even if I am very
critical of self-discovery trips. Is the work stringent, does it answers
questions or poses new ones. How are the photographic stylistic
devices and generes used?
I'm allergic when the project text promises a lot but I don't understand the images. 
I have to be able to understand what I see.
There was one story with a strong impact in the competition that really
hurt without taking away the dignity: Younes Mohammad (Iraq) /Open
Wounds. Because of this it was so clear for me this work belongs to my 10 finalists.
I immediately fell in love with the winning work of Nicola Bertasi (Italy)
/Pandemic Postcards: After seeing so many bad Covid stories this one
it was refreshing. There is a lot of work in it in terms of research, working
with archives, meticulousness and a beautiful design of the collages.
But also look back into the history of pandemics.

HM: What do you think the future of photography will be? Both in the
artistic and commercial fields
MG: Commercial fields: In Journalism? Editorial? Advertising? Arts?
Chaff will always separate from the wheat. Well told and honest stories
will always be booming. The problem is their mediation and the
appropriate output media. Not every work should be put on the market
as a book. Certain works clearly belong to a photo fair or in a gallery.
I see it in my projects especially with Magnum Photos it's first of all
about good and important photography. Secondly about personal
contacts, friendships, network, where my knowledge, mediation and
attitude is a big part and needed.
Pitching is part of the photographic industry of course and will always be. 
But the market is very capricious and broad and has room for the
breadth of photography and the lack of money.
The photographic memory of a country, an era, in everyday life will
retain its importance and therefore will continue to be cultivated.
A good oeuvre will always endure. That's what I'm committed to.



mercoledì 15 settembre 2021

Peter Brunner - Boccalino d'oro 2021

 

foto e video Christian Righinetti, intervista Michele Gavazza


Peter Brunner fresh winner of the independent critics award: the Boccalino d'oro 2021. Brunner won  for best director for his film Luzifer, with the motivation: "an exemplary illustration of the language of film's ability to give depth to the most profound and sincere sentiments of the human soul" (Ugo Brusaporco). The interview took place in the prestigious Rivellino of Locarno, the fortification attribuited to the genius of Leonardo da Vinci.






mercoledì 1 settembre 2021

Stefano Zecchi - Sentieri e Pensieri 2021

foto e video di Michele Gavazza

In chiusura dell'edizione 2021 di Sentieri e Pensieri a Santa Maria Maggiore, il Professor Stefano Zecchi ha presentato il suo nuovo libro: "Anime Nascoste". Alla fine della presentazione il professore ha risposto alle domande di Hashtag Magazine.










Interview with Floriane Andersen - Locarno 78

  Interview  © Michele Gavazza 2025 , images courtesy of Floriane Andersen French producer and actor Floriane Andersen is set to make a nota...