venerdì 13 novembre 2020

Sabrina Onana - Crossing The Color Line

 

intervista di Michele Gavazza

Per la serie le interviste del secondo lockdown, abbiamo intervistato la fotografa e filmaker Sabrina Onana, autrice del documentario: Crossing the color line.



HM: Cosa rende una storia interessante per essere raccontata?

SO: Dal mio punto di vista ogni storia può essere interessante. Bisogna semplicemente trovare il modo di far emergere quel che di universale c'è nell'individuale per riuscire a interessare i potenziali spettatori o comunque coloro che si imbatteranno nella storia in questione. Una storia per destare interesse deve riguardare tematiche o problematiche vicine agli spettatori/ai lettori. La vicinanza può essere emozionale, psico-cognitiva, culturale, ideologica, storica... Insomma, tutti questi fattori che spingono un individuo a interessarsi a qualcosa vanno presi in conto nel modo in cui si racconta e si costruisce una storia: più la risonanza tra la storia raccontata e quella vissuta (realmente o immaginariamente) è forte, più le persone saranno interessate. Poi bisogna a mio avviso anche sapere a "chi" si sta parlando o si vuole parlare quando si scrive una storia per sapere come farlo nel modo giusto; anche se il pubblico può risultare poi di composizione diversa rispetto a quel che ci si aspettava inizialmente.

HM: Pensi che il documentario video sia la tua forma espressiva favorita?

SO: Sì, il documentario e la fotografia sono le forme espressive che preferisco. Quel che mi piace di più nel mondo audiovisivo é la gran capacità comunicativa delle immagini che possono direttamente ricreare e comunicare pensieri ed emozioni, senza passare necessariamente attraverso i discorsi o comunque gli sproloqui delle teorizzazioni intellettuali. Questo ovviamente attribuisce anche una gran responsabilità (politica, morale ecc.) a chi crea le immagini.

HM: L'intervista diretta è un modo per stabilire un rapporto sincero con le persone, o resta una sorta di pudore nel raccontarsi?

SO: C'è sempre del pudore, anche se viviamo in un tipo di società che ci fa ormai credere il contrario. Ma il pudore c'è. Soprattutto nel raccontare di sé, del proprio vissuto e di quel che si prova interiormente. Ed é giusto che sia così perché quando si parla di una storia, si parla dell'intimità di una persona (che non è solo fisica, ma anche emozionale) e questo va riconosciuto e rispettato. 

Per cui intervistare qualcuno portandolo ad esprimersi sulla propria persona, le proprie esperienze, o ancora i propri dolori, è un qualcosa di delicato, che richiede tatto. Immaginate di voler entrare in casa di qualcuno: dovete innanzitutto chiedergli il permesso, poi adattarvi al luogo in cui questa persona abita e accettare ad esempio che vi chieda di togliervi le scarpe se ha lavato il pavimento per non sporcare. E' così che funziona anche con gli esseri umani, che sono come case e si portano dentro mondi all'interno dei quali non si può voler entrare e fare a modo suo. Il rapporto di fiducia con gli intervistati va quindi costruito. 

Per quanto mi riguarda, credo che il mio aspetto, la mia personalità e la mia giovane età abbiano reso (e continuano a rendere) l'esercizio non molto difficile perché sono una persona estroversa, sicura di sé e mi interesso molto agli altri. Però so anche che ci sono dei limiti (magari diversi dai miei) e che bisogna quindi utilizzare la propria spigliatezza per esplorare senza paura ma senza neanche destare paura. Al contrario, la propria sicurezza e consapevolezza deve rassicurare, non inibire. 

Del resto sono un essere umano, sono già stata a disagio ad esempio, quindi so cosa vuol dire sentirsi a disagio e posso "leggere" questa informazione in un mio simile anche se ha una personalità diversa dalla mia. A quel punto sta quindi a me gestire la situazione e riportare la persona che sto intervistando in uno spazio che gli sia più comodo. È un esercizio al quale sono abituata anche grazie alla fotografia (https://sabrinaonanaphotography.book.fr/), ma credo che le interazioni quotidiane (se solo facessimo più attenzione agli altri invece che a noi stessi) siano sufficienti a sviluppare queste competenze relazionali fondamentali. Bisogna imparare ad ascoltare non soltanto le parole ma anche le emozioni altrui per poterle gestire bene.

HM: Com'è stato accolto "Crossing the color line"' dal pubblico? Ti aspettavi un'accoglienza diversa?

SO: È stato accolto bene, credo. Non mi aspettavo un'accoglienza diversa, ma a volte ho notato durante i dibattiti, in seguito alle proiezioni, che queste tematiche in Italia non sono ancora ben sviluppate e il dialogo deve approfondire, sia umanamente (per evitare le polarizzazioni ideologiche) che intellettualmente.

 HM: Progetti futuri?

SO: La seconda parte! Sostenete qui se volete: paypal.me/pools/c/8cJbkO3OMQ


A questo link potete trovare un'anteprima di Crossing The Color Line  https://vimeo.com/372594253




 


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