mercoledì 19 agosto 2020

Ben Donateo - Boccalino d'Oro 2020

 

Testo di Michele Gavazza - Foto di Christian Righinetti


Fresco del premio della critica indipendente "Boccalino d'Oro 2020" a Locarno per il suo documentario "Grigio. Terra Bruciata" abbiamo intervistato il cineasta ticinese Benjamin Donateo, ecco cosa ci ha raccontato:


HM: In che momento hai pensato: "voglio fare il regista?"
BD: La passione per le immagini in movimento è nata quando ero bambino. Il primo input me lo diede una notte di primavera. Mi trovavo a casa dei nonni in Svizzera tedesca quando vidi "Forrest Gump" in compagnia di mio zio. Il giorno successivo il nostro maestro ci chiese di redigere un tema libero e io decisi di raccontare proprio quel film; mi sentivo come se fossi stato l'unico al mondo ad averlo visto. Ho particolarmente amato riscrivere quella narrazione, mi aveva colpito.
Il secondo input fu quando misi le mani su una macchina fotografica usa e getta. Ricordo ancora quell'estate, erano tutti in vacanza e io ero alla scoperta del mondo e di me stesso. Non sapevo ancora cosa facesse esattamente un regista, ma lì decisi che volevo vedere il mondo attraverso un obbiettivo per poi raccontarlo a qualcuno. Crescendo e studiando la storia dell'arte e del cinema ho capito che esprimermi attraverso le immagini in movimento mi rendeva felice, dava un senso a tutto.


HM: Cosa rende una storia interessante tanto da raccontarla in un documentario? (o in un film)
BD: Potenzialmente, a mio avviso, anche una lattina di birra su un marciapiede ha una storia. Credo che ogni cineasta, ogni cantastorie, ogni autore senta un impulso nella pancia, in particolare quando i suoi pensieri incontrano un soggetto che poi risulta essere la metafora di un messaggio o di un intimo punto di vista.
Viviamo in un'epoca di teorie filmiche più o meno legate ai canoni della narrazione. Sta al talento dell'autore giustificare l'esistenza dell'opera che deve valere il tempo di fruizione del pubblico. Ogni volta che un autore termina un film, scatta una sorta di tacito patto con il pubblico, dove l'autore "promette" di mostrare qualcosa di interessante, qualcosa che valga la pena vedere. Questo contesto economico del "dare e avere" va poi contestualizzato al tipo di pubblico che, a mio avviso, è fondamentale. Il pubblico del Festival di Locarno non è lo stesso dei film di Checco Zalone. Eppure sono queste dinamiche commerciali a rendere possibile la filiera del cinema. Tutti i prodotti che hanno un pubblico meritano una riflessione, quindi.


HM: Hai girato esclusivamente documentari, hai mai pensato di cimentarti in un film?
BD: in realtà il mio percorso di aspirante cineasta nasce nella fiction, in particolare quando ero in accademia e all'università. Con il tempo ho capito che le frontiere di fiction e documentario si sono assottigliate sempre più, anzi, direi che al giorno d'oggi si sono già fuse, in particolare nei prodotti on demand delle major.
Per il momento il documentario creativo, quello denominato "Expanded cinema", è la via che vorrei percorrere ancora per un po', anche se devo dire che nel cassetto ho un paio di sceneggiature fiction che attendono "il momento giusto". Non escludo nulla.


HM: Da cosa trai ispirazione?
BD: Credo che l'ispirazione sia un processo fortemente soggettivo. Per me, ad esempio, capita quando entra in gioco la percezione di ciò che mi circonda. In quel momento vengo assalito da una voglia sfrenata di catturare quelle immagini.
L'essenza effimera del nostro mondo è qualcosa che mi affascina profondamente, si tratta di momenti che non torneranno più a meno che non vengano impressionati su pellicola o sul sensore.
Ciò che mi circonda mi ispira, mi influenza, e questo si potrebbe semplicemente tradurre in una brezza che accarezza le foglie di un albero, come in "Grigio. Terra bruciata". Certo, dal momento in cui sopraggiunge un'idea, una volta metabolizzata, si vanno a creare delle successioni di immagini che col tempo, o con un'illuminazione, diventano narrativa, alimentando man mano la passione.
La mia regola al riguardo, citando Cerami, è che "se non c'è conflitto (di qualsiasi genere) non c'è un film". Allora, in questo senso, quella lattina di birra potrebbe appartenere ad un senzatetto alcolista che fa un incontro speciale che gli cambia la vita, o semplicemente potrebbe essere legata all'inciviltà delle persone.
Il momento dell'ispirazione è la miccia che innesca la passione e riprendere diventa quasi una necessità. È così che uno specifico tema, o una certa immagine, divengono matrice creativa nella testa (e nel cuore) dell'autore. Credo che questo valga per tutti.
Infine, come ogni individuo che cerca di comunicare per immagini ho delle tematiche alle quali sono affezionato. Mi interessano le persone in relazione all'ambiente e alla natura. Mi interessano situazioni sociali particolari, magari difficili. Mi interessano i punti di vista di persone che non la pensano come me. Forse, escludere storie a prescindere dal tema non è corretto perché, come dicevo, se scatta quella specifica necessità di girare, si gira!


HM: Prossimi progetti?
BD: Causa Covid ho dovuto posticipare alcuni progetti che erano pronti per essere girati all'estero. Fortunatamente ho qualche colpo in canna, storie ambientate sul territorio ticinese. Pandemia permettendo conto di finire il primo entro fine anno.




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