sabato 19 dicembre 2020

UN CLASSICO CONTEMPORANEO: IL MAESTRO OSVALDO COLUCCINO SI RACCONTA. Fra musica, poesia e arte

Intervista di Elisa Pozzoli Testori foto di Osvaldo Coluccino


Mi capitava di incontrare il Maestro nelle sue passeggiate solitarie per le vie del centro di una città di provincia, dove risiedevamo ormai da qualche lustro. Riuscii a intervistarlo per l’emittente locale nel 2010, in occasione di una rassegna di tre concerti di musica classica contemporanea al Teatro Galletti a Domodossola: un viaggio sonoro nell’universo di Osvaldo Coluccino, in tre magiche serate organizzate per la prima volta nella città dove egli aveva messo radici, e che non lasciò indifferente il pubblico in sala. Chissà perché lo schivo e riservato compositore e poeta non ha mai trovato in Ossola lo stesso calore che ha sempre trovato fuori provincia e all’estero!? Opere musicali gli sono state commissionate per es. dalla Biennale di Venezia, dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, dal Teatro La Fenice di Venezia, da Milano Musica (Teatro alla Scala), dalla Compagnia per la Musica in Roma ecc. e sono state eseguite in sedi prestigiose nel mondo, dal Festival de Royaumont di Parigi in coproduzione con IRCAM-Centre Pompidou, alla Milton Court Concert Hall della prestigiosa Guildhall School of Music & Drama di Londra, al Museo Egizio di Torino, al Museo del Novecento di Milano, al Festival Cervantino in Messico, all’Università di Parigi e a quella del Kentucky, al conservatorio superiore di Malaga, a San Francisco, Seul, Lubiana, Odessa... Nella sua sensibilità d’artista, nel suo animo ecologista, ho incontrato un uomo in comunione con la Natura e votato all’Arte, e ne è nato un rapporto di profonda stima e amicizia che ci lega ancora oggi e dal quale è scaturita l’intervista che segue e che trae spunto dalla recente uscita della sua nuova pubblicazione di un libro, “Scomparsa” – tragedie in versi, edita da Puntoacapo, novembre 2020. 



EP: Nella vita, così come nella carriera di un artista, dopo i successi, le emozioni, le afflizioni, segue una fase nella quale nasce la necessità di fermarsi, per catalogare, riflettere sul percorso fino lì compiuto, e questo momento solitamente giunge negli anni della maturità... Dei tuoi quattro libri di poesia inediti ne è appena uscito uno scritto molti anni fa,“Scomparsa” con tutto il tuo teatro in versi...

OC: Hai ragione, sebbene per me quel momento non sia ancora giunto. Mi sono sempre ritagliato momenti di “rallentamento” durante i quali sistemare, organizzare e cercare di trovare uno spazio pubblico per la mia opera, ma credo che, in alcuni casi, compositori e artisti possano dare la loro massima intensità proprio nella ricerca rarefatta dell’età matura, per fare nomi altisonanti basti pensare a Cézanne, Tiziano, Rembrandt, Beethoven, Luigi Nono e tanti altri. Per la poesia la vedo un po’ diversa, penso a giovani poeti folgoranti e al fatto che andare oltre ciò che elargirono non sarebbe stato necessario. Questo non è valido per tutti i poeti né tutti i lettori, ovviamente. 

Quanto alla mia ultima pubblicazione... Stavo cercando una collana specifica per il teatro contemporaneo in versi, non pareva facile. Poi vidi che era nata – presso un editore il cui interesse principale è la poesia, cioè Puntoacapo Edizioni – la collana di teatro “Persona” diretta da Paolo Valesio (saggista, già docente ad Harvard, Yale e ora professore emerito alla Columbia University di New York)... E da tale connubio il libro è potuto venire alla luce.

Scritto 30 anni fa ma nel cui valore, come negli altri tre libri per ora ancora inediti, ho sempre creduto; non sono opere a scadenza. Smisi di scrivere poesia tanti anni fa per dedicarmi esclusivamente alla composizione musicale, ma ciò non significa non essere più poeti. 

Prossimamente dovrebbe venire alla luce un altro dei miei libri rimasti inediti, sotto forma di libro d’artista in poche copie numerate, in collaborazione con un artista importante. Un precedente libro d’artista era nato dalla collaborazione con Marco Gastini, un grande artista, scomparso nel 2018 (per es. presente in permanenza al Museo d’Arte Moderna di New York proprio con un libro d’artista degli anni ’70). Il progetto grafico era del designer Franco Mello, che annovera nei suoi progetti alcuni dei più valevoli libri d’artista italiani. Fummo invitati a presentarlo alla Galleria d’Arte Moderna di Torino.

Scomparsa credo sia un libro con mistero, stile, emozione, dolore... ma bisogna avere l’umiltà e la pazienza di saper aprire i propri pori della percezione e saperlo scoprire lentamente con reiterate letture nel tempo.


EP: Nell’800 il poeta romantico P.B. Shelley definiva i poeti i legislatori misconosciuti del mondo. Che cos’è per te la poesia e quale dovrebbe essere il ruolo del poeta nella società attuale? 

OC: La poesia può avere un range di valore che va da zero a valore inestimabile. I grandi poeti sono fenomeni della natura, come delle gemme che potrebbero spuntare qui o là e lungo divaricazioni temporali imprevedibili, e la grande poesia è un dono per l’umanità, la quale necessita anche di tale nutrimento, la poesia potrebbe possedere delle potenti peculiarità di “colpire” l’animo che musica e arte hanno in modo differente seppur di pari livello.

Nella società attuale il ruolo è lo stesso, sebbene il linguaggio sia cambiato (oltre che, come in ogni epoca, essere molteplice), e chiede uno sforzo da parte degli appassionati, soprattutto nel cercare ciò che vada bene per loro stessi, nell’essere selettivi, tuttavia sforzo ripagato dalla sensazione di freschezza ed emozione che l’offerta contemporanea regala. Una persona intelligente, che vive nelle contraddizioni e vivezze del proprio tempo, non si lascia fagocitare dalla paura del nuovo in arte. Certo, oggi la delicatezza di certa poesia va a subire lo scotto della semplificazione e della sbrigatività tipiche del nostro tempo vorace; e non è raro sentire considerazioni, in cui non credo affatto, tipo che la musica pop sia la poesia dei nostri giorni. Ci sono tante forme espressive, e si rivolgono ad appassionati del genere.


EP: Ma com’è che un compositore rispettato dai critici più temuti o eminenti e al quale giungono commissioni di opere dai teatri e dai festival più blasonati del mondo, si trova a risiedere in una città di provincia fuori dai circuiti musicali più importanti e lontano da chi sa apprezzare la sua arte?

OC: Ti dò tre motivazioni: 1) Per un compositore del mio tipo, che non è musicista interprete, in teoria va bene risiedere in qualsiasi posto, si tratta di un lavoro interiore e appartato, alla ricerca del silenzio; 2) Sono nato qui, nella mia adorata famiglia, poi vissi a Milano fra 1982-1985 quando ero studente universitario, pensavo di fermarmi lì, ci stavo bene... ma poi tornai qui proprio perché sentii la necessità di appartarmi in una ricerca solitaria profonda come artista; 3) soprattutto formai qui famiglia e curai qui decine di gatti abbandonati, ecc. 

Certo, ora che sono rimasto solo, non lo so più.

Apriamo una questione a lato di ciò: così come nella tua introduzione leggo il tuo – diciamo – “velato dispiacere” riguardo il mio mancato spazio d’artista qui dove viviamo, e dato che colgo in questa tua domanda una punta di sensata provocazione, darei qualche chiarimento: 

Sgomberiamo il campo dalla mia figura, e parliamone un attimo come fatto oggettivo e generale. Ebbene non è mai un problema dell’artista essere ignorato o peggio, nel luogo dove nasce e vive, ma, a seconda dei punti di vista e in alcuni casi, potrebbe essere un’occasione persa per la comunità. La mancata attenzione “istituzionale” verso figure culturali residenti in circoscritte aree e nel tempo in cui vivono (qui abbiamo avuto Contini, Fornara, Cavalli, Ciolina), è questione annosa e che bisognerebbe girare a chi ha il compito amministrativo per la cultura e di chi è direttore artistico di associazioni culturali di quell’area geografica. L’artista fatica, dà, e basta, di prassi gli artisti di un certo tipo non si aspettano nulla per loro stessi, non cercano plauso dai loro concittadini né compiacimento né palchi per sé, vogliono solo donare o condividere un bene se ciò è gradito e soprattutto se viene chiesto loro; e se è vero che alcuni miei colleghi nelle cittadine e metropoli dove risiedono sono invitati con orgoglio a svolgere attività artistica, è pure vero che alcuni artisti di ogni epoca che porto nel mio cuore, nel luogo dove vivevano non venivano considerati. Vige da sempre il simpatico proverbio, no?... Individualmente ci sono sempre e ovunque persone interessanti affamate di arte anche sotto forma di novità e sperimentazione, ma non è in loro potere di cosa poter giovare o meno. Possiamo considerare valido il possibile responso di soggetti con responsabilità decisionali, del tipo: «A me ciò non piace, non lo capisco, quindi non piacerebbe al pubblico»? È loro compito soppesare e vagliare l’opera d’arte, fosse essa anche sul genere di Fontana di Duchamp o di 4:33 di Cage?

Come ricordi tu, nell’arco dei miei 58 anni ebbi solo un invito nella mia città, nel 2010, da parte dell’allora Assessore alla Cultura Luca Albini. Lo ricordo con affetto, una brava e professionale persona. Non lo conoscevo prima, mi contattò per dirmi che sapeva dei miei meriti artistici e mi propose di organizzare, con pochi soldi, una piccola rassegna. Portai a Domodossola per es. il Quartetto d’Archi del Teatro La Fenice, e il teatro Galletti era quasi pieno, e il pubblico, venuto anche da via, rimase incantato dal livello espressivo non comune dei musicisti e pure dagli accostamenti fra Beethoven e autori d’oggi, come Kurtag, inoltre invitai dalla Germania due dei musicisti più prestigiosi a livello internazionale per la musica d’oggi, ospitai il video-artista Claudio Sinatti (prematuramente scomparso), il musicologo Paolo Repetto, e infine allestii una mostra. Il mio compenso richiesto per una organizzazione faticosa, e come artista, fu zero euro.


EP: Bisogna dire che è comunque una esperienza complessa ascoltare una composizione di musica d’arte contemporanea...

OC: Sarò in parte provocatorio: non la penso così. Cosa ci aspettiamo dalle arti? Significato, spiegazione, rappresentazione riconoscibile, consolazione? Specificamente per la musica d’arte ci attendiamo regole armoniche appartenenti al passato, melodia, swing che ci faccia muovere la gamba? Intendiamoci, va benissimo tutto ciò, c’è offerta per tutti i gusti, e ognuno di noi deve scegliere la musica che va bene per se stesso, pop, rock, jazz, classica... Tuttavia, tornando a parlare di musica classica contemporanea, cioè quella suonata dagli stessi musicisti che suonano per es. Mozart e di séguito per es. Edgar Varèse, l’approfondimento dell’ascoltatore nel tempo, la concentrazione, l’ascolto con mezzi adeguati (no audio dello smartphone o del pc) potrebbero portare pian piano a far sentire tali espressioni come assolutamente naturali, emozionanti a volte, come normale evoluzione della musica classica nel tempo, come giustezza espressiva della nostra epoca. Dobbiamo anche renderci conto che gli stessi storici della musica e dell’arte e della letteratura che scrivono per es. di Bach, Caravaggio e Leopardi lo fanno con passione anche per autori d’oggi.


EP: Come musicista dove ti senti più a casa e a quale teatro, festival o manifestazione sei più legato? 

OC: La mia presenza per l’esecuzione di musica mia è stata più diffusamente a Venezia, Milano, Firenze e Torino (ma anche per concerti a Roma, Teatro Lirico di Spoleto, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, alla mostra internazionale itinerante Manifesta a Trento, nella casa-castello del poeta Ezra Pound a Merano, e a Lucca, Brescia, Perugia, Cagliari, Alba, Forlì, Trieste, Avellino, Treviso, Sassari, nella sede di pregevoli avvenimenti culturali di Villa Ghirlanda di Cinisello Balsamo, nel borgo di Panicale, a Maccagno...), e in sedi quasi sempre dalla valenza storico-artistico-architettonica speciale; e due anni fa il mio lavoro con l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna mi ha fatto assaporare una città in cui mi sono sentito a mio agio. 

Per registrare il mio disco con i quartetti d’archi, nel 2010 stetti alcuni giorni di séguito al Teatro La Fenice di Venezia, e devo dire... gran belle sensazioni. Poi ci tornai nel 2016 su commissione del teatro. E coi musicisti dell’Orchestra RAI, all’Auditorium RAI Toscanini di Torino, entrambe le volte, 2008 e 2015, mi trovai in sintonia. Il concerto più emozionante e potente... quello nello Statuario del Museo Egizio, nell’ “attrito” fra antichissimo e modernissimo.


EP: Cosa pensi del fatto che nel nostro Paese, l’Italia, la musica sia considerata più come intrattenimento che non come forma di cultura?

OC: È un peccato, ed è stato un cammino regressivo. Occorrerebbe un lavoro meticoloso di sensibilizzazione. Mi auguro avverrà, io lo seguirò dall’aldilà.


EP: Tra le tante collaborazioni, ricordo ad esempio con Stefano Agosti che nel 1990 ti ha scoperto come poeta e poi le sinergie musicali con Fabrizio Ottaviucci, Roberto Fabbriciani, ma anche con Franco Battiato, solo per citarne alcuni, ecco quale tra queste ti rende più orgoglioso e chi consideri come i tuoi maestri da un punto di vista artistico?

OC: Con Stefano Agosti, considerato unanimemente un grande studioso (per es. ricevette la Légion d’Honneur per i suoi studi critici, nonché figura eminente di Cà Foscari ecc.), dopo che scoprì la mia poesia e ne scrisse in più occasioni, iniziò un cammino di amicizia. Per la musica mi scoprì lo storico della musica Luigi Pestalozza, un uomo per bene, di grande dignità. Entrambi, così come altre figure rilevanti della cultura internazionale, vennero a trovarmi a casa, e feci loro visitare Domodossola. 

Ricordo l’amicizia con Mimma Guastoni, direttore delle edizioni Ricordi dagli anni 80 del Novecento a fine secolo, poi passata all’inizio del 2000 alle edizioni di musica classica di RAI Trade, la quale, dopo aver sentito mia musica in concerti a Milano, mi accolse in quelle edizioni. 

Per stare sui nomi che citi, Ottaviucci è un sensibile pianista con cui ho delle affinità, ha suonato in vari concerti la mie “Stanze” con intensità e delicatezza; e con Roberto Fabbriciani, uno dei più importanti flautisti al mondo, abbiamo lavorato per un disco di mie composizioni per flauto pubblicato a Vienna. È nata amicizia con entrambi. 

Battiato, che citi, così come anche l’amica Alice, appartengono alla mia vicenda, direi, giovanile, di artista rock, la mia esperienza che iniziò a 13 anni e terminò da ventenne... Presi subito dopo (anche durante) una strada diversa, trovai la mia strada (e studiai moltissimo), ed è solo per questo motivo che nella mia biografia appare solo “compositore e poeta”, sebbene sia grato a Battiato, Alice e Francesco Messina.

I miei maestri? Alcuni esempi: i compositori fiamminghi del XIV e XV secolo, poi Gesualdo da Venosa, Beethoven specialmente quello degli ultimi quartetti e sonate, Schubert, Anton Webern, Nono; Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, van Eyck, Giorgione, Vermeer, Cézanne, Giorgio Morandi; Rimbaud, Mallarmé, Char, Kafka...


EP: Nuove opere musicali in previsione?

OC: Al momento sto lavorando a un album con tre brani molto impegnativi per strumento solo ed elaborazioni elettroacustiche, con tre rinomati musicisti classici, uno di Bruxelles, uno di Berlino e il terzo brano è ancora da scrivere. 

Concerti recenti: il duo viennese Stump-Linshalm alla Konzerthaus Klagenfurt, Ilaria Baldaccini all’Oratorio del Museo del Duomo di Lucca, mentre è stato rinviato quello alla Certosa di Firenze (sede di straordinarie opere di Pontormo ecc.).


EP: La solitudine non scelta ma imposta ancor di più in questi tempi di Covid, come ha cambiato il tuo modo di comporre?

OC: In nessun modo, cerco sempre di dare il massimo, chiudendomi in casa a creare. Il dovere di ognuno di noi è svolgere bene il proprio compito, operaio, impiegato, panettiere, medico, infermiere, artista... Certamente sappiamo che i concerti ora sono stati impediti, è cambiato questo.


EP: «Chi non bada a ciò che mangia, difficilmente baderà a qualsiasi altra cosa» chiosava lo scrittore inglese del diciottesimo secolo Samuel Johnson... Tu da anni sei vegetariano. Una scelta dettata anche dall’amore incondizionato che senti per gli animali? 

OC: Solo da quello. Sin da bambino mi sono sempre sentito molto male all’idea che creature viventi sensibili, rispetto alle quali siamo solo diversi fisicamente, vengano imprigionate nei modi più terribili, venga tolto loro il senso della vita come fossero oggetti e vengano poi macellate ogni istante di ogni giorno e come se ciò fosse normale (in natura buoi, galline, asini, cavalli, conigli, agnelli, gli intelligentissimi maiali, anatre ecc. ecc., vivrebbero negli spazi verdi e con le loro regole e i loro cuccioli). Gli allevamenti intensivi sconvolgono profondamente il mio animo. Sono 40 anni giusti che non mangio né carne né pesce e da anni non più uova e bevo buonissimo latte di soia, e in vita mia sin che ho potuto ho aiutato centinaia di animali abbandonati.

Esula dalla tua domanda, ma certamente mi urge sottolineare che il mio sconvolgimento è enorme per es. per i Lager nazisti e per ogni altra forma di violenza e sopraffazione di esseri umani contro altri esseri umani. Confesso che non mi piace continuare a sentire luoghi comuni tipo: «Coloro che amano gli animali dovrebbero invece pensare alle persone...». Io ho conosciuto persone che, a prescindere, non aiuterebbero mai direttamente i propri simili (caduti in difficoltà) e altre che invece aiutano direttamente il prossimo (e non significa fare donazioni ad associazioni, è altra faccenda) e che ammiro molto.


dicembre 2020






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