Una linea, mille significati: a volte non è che un segno distratto, altre invece si fa chiamare “retta” e diventa qualcosa di infinito. Altre, invece, si trasforma in molte altre e meravigliose figure. Un fumetto, ad esempio: incredibilmente profondo nella sua semplicità. Osvaldo Cavandoli ha fatto proprio questo, disegnando una linea e lasciando che si vestisse da fumetti, giocosi e sensibili, profondi e per tutti.
Oggi Osvaldo non c’è più ma la sua arte vive ancora, grazie anche al suo più grande ammiratore ed instancabile narratore: suo figlio Sergio. La Marco Lucchetti Art Gallery di Lugano lo ospita in una appassionante mostra ad ingresso libero delle opere di Cavandoli.
SG: L’idea di suo padre, di creare fumetti da una linea è davvero unica. Come è nata?
SC: Mio padre ha iniziato con i “Fratelli Dinamite” e poi si è messo in proprio. Allora, il lavoro d’animazione era veramente megagalattico, c’erano movimenti in passo 1 e per dare vita a qualche minuto di animazione ci volevano sei mesi. Da questo poi è passato al disegno, semplificandolo. La Linea è un personaggio semplice, senza fronzoli o dettagli. Nasceva con tratto e movimento, lasciando solo l’essenziale.
SG: Cosa voleva trasmettere con l’idea della linea che diventa vita e personaggi?
SC: I personaggi del film erano due: la linea e la mano. La mano è un personaggio molto importante, necessario per le vicende della linea. È come un Deus ex machina, il motore di tutte le vicende che riguardano questi personaggi. Possiamo vederli come una metafora della linea della vita: lungo di essa troviamo ostacoli, perplessità e a volte tanta felicità. La mano è il destino che crea ostacoli, burlona e dispettosa.
SG: Il più bel ricordo di suo padre? Le va di raccontarci un’esperienza?
SC: Il ricordo più bello che ho è stato quando una domenica mio padre prese la cinepresa da 8 millimetri ed il cavalletto e mi portò al parco a fare riprese video. Facemmo video a passo 1 e mi insegnò ad usare pellicole, obiettivi. È stato un solo giorno ma ha definito il mio mestiere della vita. Mi sono occupato delle riprese tv per tanti anni sotto diversi aspetti.
SG: Ogni volta che guardiamo quei fumetti, colpisce quel senso di pace e divertimento. Ma cosa crede lei che li renda importanti anche per il futuro?
SC: Proprio per il suo essere privo di dettagli non diventa vecchio. È un design semplice, che non diventa mai vintage, è sempre fresco. I bambini continuano a ridere quando lo vedono, piace anche alle generazioni nuove.
SG: Lei è un narratore instancabile delle opere di suo padre. Qual è il valore più grande che vuole trasmettere?
SC: Mio padre a 18 anni era disegnatore tecnico dell’Alfa Romeo ma ha sempre avuto l’idea di voler essere vignettista. Ha continuato per la sua strada e nel 1968 ha inventato la linea ed ha avuto successo. È una bella lezione per tutti la sua ostinazione per ottenere il lavoro che sogni, per chi ha un traguardo che vuole raggiungere. Inoltre, ha sempre lavorato da solo: lo chiamavano “L’artigiano del film d’animazione”, faceva tutto con le sue mani. Anche la macchina da presa era del ’20, quella del muto a manovella, e lui ha creato un esoscheletro per fare il passo uno a motore.
SG: Come è stato per lei crescere in mezzo ai fumetti? Sono un po’ parte della sua famiglia per lei?
SC: Io dico che La Linea è mio fratello, siamo nati tutti e due dallo stesso padre. Quando a scuola dicevo che mio padre era un disegnatore umoristico, quello de “La Linea” ero invidiato dai miei compagni ed ero sempre pieno di orgoglio. Inoltre, lui non mi ha mai forzato sotto nessun aspetto e ha sempre rispettato le mie scelte. Mi ha consigliato ma mai obbligato, mi ha insegnato il rispetto rispettandomi.
SG: Quali opere troveremo nella mostra della “La Linea”?
SC: Quando stavo riordinando e digitalizzando l’archivio, ho trovato non solo i film ma anche tavole e vignette di Linea. Nella mostra c’è una scelta di queste strip invece di tavole singole.
SG: È felice di essere invitato qui a Lugano? Come le sembra?
SC: Sono molto felice anche perché per rima volta che facciamo una mostra a Lugano. Io ci sono stato per lavoro, ho lavorato 10 anni con Enzo Regusci, della Polivideo. È da tanto che non vengo, e questa volta la vedrò sotto un altro aspetto, come ospite. È molto bella, un orgoglio per la Svizzera, una perla del lago.
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