Abbiamo intervistato Arianna Todisco, una fotografa documentarista di grande talento.
Arianna vive a Milano, originaria di Barletta, Puglia, classe 1995.
La sua è una fotografia integrale, fisica, volta a cogliere la parte sensibile delle storie sociali e culturali dei nostri giorni attraverso l’applicazione di un nuovo linguaggio del reportage.
Nel 2020 fonda l’agenzia Maatrice, di cui ne è direttore. nel 2019 consegue la sua laurea in Nuove Tecnologie dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi che esplora i nuovi linguaggi comunicativi del reportage nel campo dell'arte.
Partecipa a vari workshop, mostre collettive e residenze artistiche come la mostra fotografica presso il Padiglione di Arte Contemporanea di Milano con un progetto realizzato durante il workshop “"Armin Linke. L'apparenza di ciò che non si vede” presso il PAC stesso. Nel 2017 viene selezionata come vincitrice del Premio Donghi. Nel marzo 2018, Il progetto “Solitudinem” viene selezionato da fotografi ed esperti della prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos e Contrasto per la collettiva “ORA” presso Fondazione Carispezia, La Spezia.
Nel settembre 2019 viene selezionata da Canon Italia e Canon France per partecipare al Canon Student Program 2019 nella cornice di uno dei maggiori festival di fotogiornalismo, il Visa Pour L'image a Perpignan. Nel ottobre 2019 è tra i nove finalisti del Talent Prize 2019 organizzato da Insideart Magazine, ricevendo per l’opera “Villaggio dei Fiori” la Menzione Speciale della Giuria ed espone la stessa presso il Mattatoio, Museo di Arte Contemporanea di Roma. Nel 2020 termina i suoi studi di fotografia a CFP Bauer Milano e nello stesso anno viene selezionata per il prestigioso Eddie Adams Workshop di giornalismo. Nel 2020 fonda la casa di curatela fotografica, Maatrice, di cui ne riveste il ruolo di Direttore esecutivo. Ecco cosa ci ha raccontato:
HM: come e quando è nata la tua passione per la fotografia?
AT: Sinceramente non so il momento preciso in cui mi sono avvicinata intimamente alla fotografia, sicuramente sono sempre stata molto affine all’ambiente dell’arte sin da quando ne ho memoria.
Sono sempre stata anche un po’ nerd, mi piace sperimentare nuove tecniche artistiche: quando ero al liceo artistico frequentavo l’indirizzo figurativo, quello più classico e accademico, ricordo che ero perennemente combattuta sulla questione della mia scelta di indirizzo e se non fosse stato il caso di scegliere l’indirizzo multimediale e quindi più legato al cinema e alla fotografia. Stessa cosa è successa durante i miei studi all’accademia di belle arti di Brera, frequentavo Nuove Tecnologie dell’arte, ma a lezioni terminate mi trovavo sempre nelle aule di indirizzo di pittura e scultura. Il mondo dell’arte nel suo senso e nella sua direzione attuale non mi stanca mai, ne sono profondamente contaminata.
Sicuramente la fotografia è il mio mezzo primario di espressione, è cresciuta insieme a me in diversi aspetti. È stata la mia compagna di viaggio durante diversi viaggi in solitaria, ma alla fine grazie a lei non ero mai sola, mi ha sempre aiutata ad entrare in contatto con diverse verità e realtà.
HM: cosa rende una storia o una situazione interessanti per costruire un reportage fotografico?
AT: Solitamente lascio agire molto spesso l’istinto e il mio inconscio. Non appena ho realizzato delle fotografie su un soggetto o tema, inizia immediatamente un prima parte di editing molto “raw” dove riordino le idee delle mie prime indagini informali per capire in che direzione sta andando il mio occhio e il mio io.
Molto spesso mi ritrovo a trattare il tema di “comunità” e come questa interagisce con dei luoghi e degli spazi, come i metal cowboys del deserto Kalahari (Botswana) o il mio attuale progetto ongoing sui caminanti in Sicilia.
HM: durante un lavoro ti è mai capitato di pensare: "no questa fotografia non a scatto?”
AT: Si mi è capitato spesso; noi fotografi siamo amanti del ricordo e del tempo, per nostra natura. Ma come in ogni amore, si compone delle scelte ogni giorno, che portano a migliorare o meno il rapporto. È la stessa identica cosa, una questione di etica, qualità e rispetto.
HM: Cos'è Maatrice?
AT: Maatrice nasce da un mio desiderio di accendere i “fendinebbia” in questo caos fotografico causato dai social media, tanti aspetti positivi ma anche negativi, così interviene Maatrice creata nel marzo 2020 dall’unione delle forze mie e della mia collega Lavina Nocelli. Maatrice promuove l’arte della diversità, curando nuovi progetti per metterli in dialogo con nuovi scenari di osservazione. Rielabora la dimensione fotografica riscrivendo gli spazi stessi in cui essa opera. L’arte dell’immagine, vista come un grande archivio da osservare, che nella sua pura trasformazione concettuale diviene nuova esposizione sensibile.
Maatrice è un’agenzia di curatela fotografica.
HM: Come evolverà nei prossimi anni il reportage fotografico?
AT: Si sta già evolvendo, se solo pensiamo all’immagine di informazione, quindi magazine, riviste, periodici, blog…l’immagine che viene utilizzata non è solo quella appartenente all’ambito del photo reportage ormai, ma bensì oltre alla fotografia c’è la documentaristica, la fotografia digitale (nel senso più “estremo” attualmente, con il supporto del 3D) e la fotografia concettuale spesso utilizzata per parlare di temi delicati legati all’intimità della persona.
In tutto questo ambiente il reportage fotografico si sta adattando. Nella mia tesi di laurea cito ad esempio, la mostra fotografica itinerante “Un'antologia” di Paolo Pellegrin, attualmente in mostra alla Reggia di Venaria. La mostra è un'immersione totale nella carriera e soprattutto nel pensiero del fotografo, alla fine di esso ci si trova davanti una parete con affisse tutto il lavoro di Pellegrin: le sue fotografie, sketch, diari e appunti. Un complesso pensiero dell’applicazione di un linguaggio e del mezzo del reportage; credo che questo sia un punto di snodo evidente allo sguardo della complessità del reportage fotografico, da sempre “catalogato” in un unica via di esposizione ed espressione che però, partendo già da come si “scatta” la fotografia, ne contiene diverse espressioni ermetiche sia dei soggetti rappresentati sia di chi ne realizza la fotografia, spesso sottovalutati dal primo utilizzo necessario, l’informazione.
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