venerdì 30 aprile 2021

Simone Faresin - Fuori Onda

 


intervista di Michele Gavazza

Qualche domanda a Simone Faresin: scrittore, performer, viaggiatore e creatore di format in giro per il mondo. L’occasione è l’uscita del suo romanzo “Fuori Onda” per Calboni Edições.




HM: Come e quando è nata la tua voglia di raccontare? 

SF: Fin da ragazzino, grazie anche alla passione di alcuni miei amici nerd di inventarsi storie per epiche giocate domenicali 

a giochi di ruolo come: Cyberpunk 2020, D&D, Girsa de "Il Signore degli anelli" e Cthulhu. 

Poi ho avuto la fortuna di frequentare spesso la Biblioteca Civica della mia città e leggendo e leggendo romanzi e avventure 

sognavo una vita altrettanto avventurosa. Fino ad oggi son più che soddisfatto delle varie peripezie in cui mi sono lanciato. 

Crescendo ho imparato a scrivere progetti culturali, testi di presentazione, soggetti per cortometraggi e performance artistiche. 

Ho realizzato esposizioni fotografiche e accompagnavo le fotografie con piccoli testi. 

Oltre al mio primo libro "Fuori Onda" e alla versione portoghese "Fora do Ar" ho pronte altre due raccolte di racconti. 


HM: Il mezzo con cui sei più a tuo agio è la parola scritta, qual è il momento migliore per scrivere? 

SF: Essere ispirati è per me un momento a sorpresa, di solito arriva dopo una bella serata, dopo una bella esperienza 

o dopo una piacevole passeggiata. Non c'è un orario specifico ma mi trovo bene a scrivere dopo il caffè al mattino 

o nel silenzio della sera. 


HM: Quali sono gli scrittori che più ti hanno ispirato? 

SF: Henry Miller (a cui mi ispiro per lo stile del mio 1º libro "Fuori Onda"), Russell Banks, Wilbur Smith, Antonio Scurati, Sebastiano Vassalli. 

Mi dispiace per quelli che adesso non ricordo ma ho amato molti libri. 


HM: Vivi a Lisbona, hai abitato a Maputo, quali sono le altre città della tua vita?

SF:Gallarate, la città in cui sono nato e cresciuto; 

Milano, la città che mi ha formato; 

Gerusalemme, una città divisa che mi ha ispirato e affascinato; 

Beira (Moçambique) la città in cui mi sono scatenato; 

Porto Cesareo (Salento) dove ho vissuto 6 mesi speciali e dove ho trovato l'amore per la donna che mi ha portato a Lisbona (Grazie Serena!);

Porto (Portogallo) la mia prima città d'approdo in terra Lusitana e dove ho poi vissuto 8 mesi stupendi. 








sabato 24 aprile 2021

David Petrucci - Filmmaker

 

intervista di Michele Gavazza


Una nuova intervista di Hashtag Magazine, questa volta a David Petrucci. David oltre che pluripremiato filmmaker indipendente è anche chitarrista dei Lost Dogs Laughter.

HM: Come nasce l'idea per un cortometraggio o per un Film?
DP. Sono alla continua ricerca di sfide. Prima di finire un progetto sono già alla ricerca del prossimo. Nasce da un bisogno interiore di affrontare i miei limiti e (provare) a crescere sia come regista che come essere umano. Cerco un particolare topic che mi stuzzica e do vita a dei personaggi nella mia testa. Sono un’amante delle storie semplici, quello che mi attira di più è lo stile con in quale possono essere raccontate e la peculiarità dei personaggi. Una volta avuta l'idea se non ci dormo la notte è un buon segno che è quella giusta.

HM: E’ più difficile lavorare come filmmaker indipendente in Italia o all'estero?
DP: In entrambi i casi è molto complicato. Non c'è paragone con il lavoro da regista per grosse o medie produzioni. Non perché non si fatichi… (la fatica dopo la creatività è il secondo ingrediente del filmmaker) ma perchè nelle produzioni indipendenti anche se si ha la fortuna di finire le riprese, non si ha comunque la certezza di arrivare fino alla fine delle lavorazioni e di avere il proprio lavoro riconosciuto. Inoltre su grosse produzioni ci sono molte persone che ti aiutano a fare qualsiasi cosa mentre il filmmaker indipendente ha tutto sulle sue spalle. La differenza vera tra l’Italia e l’estero è una: la meritocrazia.
Molte mie Opere che in Italia non sono neanche considerate o selezionate ai festival nel resto del mondo arrivano finaliste o vincono. Non lo dico per essere polemico, è semplicemente un dato di fatto. Ognuno può trarre le proprie conclusioni su quali siano i fattori predominanti nel nostro bello ma complesso Paese.


HM: quanto conta la musica nei tuoi film?
DP: Moltissimo. La musica è l’Arte astratta per eccellenza. Una nota giusta nel momento giusto vale più di mille parole.

HM: Il musicista va di pari passo col filmmaker?
DP: Diciamo che amo profondamente il cinema perché mescola tutte le Arti. Da regista non importa suonare uno strumento per sentire di aver orchestrato un Film. In genere quando realizzo un'opera, collaboro con musicisti molto più bravi e competenti di me. Piero Antolini (che ha musicato gran parte dei miei Film) e Andrea Filippucci sono alcuni dei geni con cui ho avuto il piacere di collaborare negli anni. Nel mio prossimo Film “BLACK SECRET” ho realizzato anche la colonna sonora perchè avevo già in mente uno specifico timbro musicale che non avrei voluto imporre ad altri Artisti. Mi piace quando un musicista mette del suo, perciò ho preferito farlo io per non snaturare il loro lavoro. Fuori dal cinema suono con la Rock band “LOST DOGS LAUGHTER” da circa tre anni, ci lega una grande passione anche se non è il mio lavoro principale.

HM: perchè hai scelto di suonare la chitarra?
DP: All'età di 18 anni vivevo in Inghilterra esclusivamente per cercare di diventare un musicista professionista. Dopo qualche anno suonando la chitarra ho contratto una forte allergia al nichel che mi ha impedito di suonare a certi livelli. Non volevo arrendermi e ho provato a suonare tutti gli strumenti. Amo il basso ma le corde sono troppo grosse per il problema dell’allergia e ho suonato per anni in una band Punk Rock Londinese la batteria, senza possibilità di espandere in altri generi.
Diciamo che la chitarra con la sua versatilità è stata una scelta ovvia per me.
Ancora oggi studio per provare ad alzare il mio livello ma essendo molto impegnato con la regia non è facile. Sono comunque felice di poter continuare a suonare grazie alla qualità delle corde di acciaio che nel tempo è migliorata.

HM: Qual è il primo disco che hai comprato?
DP: “A kind of magic” dei QUEEN. Che sono ancora probabilmente la mia band preferita. Ricordo ancora l'emozione di quel bambino che premendo play sul Walkman, sentiva per la prima volta ONE VISION. Indescrivibile!

https://youtu.be/W2UPRPEvatU Director Showreel

https://youtu.be/HfsEJp7gf-U Le Strade del Crimine



lunedì 19 aprile 2021

Cisco Bellotti - Baci e Abbracci


 

Il nuovo singolo di Cisco in collaborazione con Simone Cristicchi: “Baci e Abbracci” è in radio dal 2 Aprile.


Il pezzo canta del desiderio di rinascita, Il folk e il rock fanno da colonna sonora a una festa, quella in cui torneremo a ballare insieme quando la tristezza e la fatica finiranno.


Baci e abbracci è un brano di buon auspicio che nasce come reazione all’atmosfera di tristezza e di distanziamento causata dalla pandemia di Covid che ha influenzato la nostra vita nell’ultimo anno.

«Da ottimisti quale siamo la canzone è mossa da un sentimento fondamentale, quello della speranza e della voglia di rinascita. Vorremmo che portasse fortuna per il prossimo futuro e così ci siamo immaginati una festa collettiva e condivisa con più gente possibile» raccontano i due autori del brano, Cisco e Giovanni Rubbiani


Grazie a un parallelismo con il periodo appena successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il brano cerca di descrivere il clima di festa e liberazione che vivremo quando la


pandemia sarà finita, con la possibilità di divertirci insieme, pronti ad abbracciarci e baciarci di nuovo un po’ come fu per i nostri genitori e nonni al termine di quella terribile tragedia.


«E dato che, dopo tanto distanziamento, appunto di condivisione si parla, ho voluto coinvolgere un amico e soprattutto un artista di altissimo livello, cioè Simone Cristicchi, con cui abbiamo cantato insieme il brano. Simone è un artista che apprezzo tantissimo e che ha accettato in maniera immediata e positiva l’idea» Cisco.


C e P Cisco produzioni Edizioni Impronta


www.ciscovox.it


venerdì 16 aprile 2021

Hedy Krissane - Attore e Regista


 

Abbiamo intervistato Hedy Krissane, apprezzato attore: ha recitato in molti film e serie tv, ma anche pluripremiato regista, i suoi cortometraggi hanno ottenuto premi e riconoscimenti nei festival in Italia.




HM: Come e quando è nata la tua passione per il cinema?

HK: Posso dire che la passione per il cinema è nata insieme a me. Nel senso che non ci è stato un particolare evento che mi ha portato ad amare il cinema. Ho cominciato a recitare da piccolo e mi è sempre piaciuto imitare i miei idoli di una volta, inventarmi storie comiche e designare e fare scenografie. Diciamo che il cinema unisce tutte le mie passioni.


HM: Ti trovi più a tuo agio come attore o come regista?

HK: Fare l’attore è un lavoro serio e impegnativo e mi appaga appieno farlo, soprattutto, quando la sceneggiatura è ben scritta e il tuo personaggio è solido. Purtroppo in Italia non ci sono molti personaggi ben scritti per noi afrodiscendenti. Ci sono ancora molto stereotipi nelle sceneggiature e al contrario della società in cui viviamo la fiction non ha anticipato i tempi anzi fatica a seguirli. Ho iniziato a fare la regia per la voglia di raccontare cose nuove e grazie al mio spirito di osservazione ho potuto prendere nozioni da molti registi importanti e perfezionare il mio stile che mantiene l’attore sempre al centro della scena. E così ho fatto i miei lavori e ho potuto vincere molti premi in Italia e all’estero. Riesco ad alternare lavori di recitazione e quelli di regia e mi sento legato ad entrambi.

HM: Essere anche attore ti aiuta quando dirigi un film?

HK: Come ho detto sopra l’attore per me deve rimanere al centro del racconto sempre. Credo che un bel cast con gli attori giusti adatti ai ruoli e non intendo famosi, è il primo passo per raccontare una storia di cinema. Gli attori sono contenti quando trovano un regista che non li muove come marionette ma li dirige e li consiglia e soprattutto di dialogo e si discute del personaggio, dei suoi obiettivi e motivazioni. Ho lavorato con regista che interessa solo che arrivi al segno e dica la battuta. Mi piace lavorare con gli attori.

HM: Come nasce un'idea per un film o un cortometraggio?

HK: Un'idea può nascere in qualsiasi momento ed ovunque. Ci sono molte idee nell’area e tanti sono stati sviluppati e resi film celebri o flop. L’idea prima di tutto deve colpirti, sentirla originale, renderti felice e entusiasta e poi, scriverla e lasciarla riposare. Se dopo un paio di settimane ha ancora lo stesso effetto. Eccola. Non bisogna mai accontentarsi della prima idea. Imparare a sviluppare un progetto è molto importante. Non sempre l’idea originale rimane intatta dopo lo sviluppo ma spesso si migliora e in altri casi si butta via.

HM: Con chi ti piacerebbe lavorare? Attori e/o registi?

HK: Sono molti gli attori e i registi con cui mi piacerebbe lavorare ma su tutti il mio preferito e al quale mi sento molto vicino è Clint Eastwood. È un regista attore che ama le storie forti e non perde tempo dietro le mega belle inquadrature. Lo adoro.





venerdì 9 aprile 2021

Arianna Todisco - Fotografa documentarista

fotografia di Luca Miuli


Intervista di Michele Gavazza

Abbiamo intervistato Arianna Todisco, una fotografa documentarista di grande talento.

Arianna vive a Milano, originaria di Barletta, Puglia, classe 1995.


La sua è una fotografia integrale, fisica, volta a cogliere la parte sensibile delle storie sociali e culturali dei nostri giorni attraverso l’applicazione di un nuovo linguaggio del reportage. 

Nel 2020 fonda l’agenzia Maatrice, di cui ne è direttore. nel 2019 consegue la sua laurea in Nuove Tecnologie dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi che esplora i nuovi linguaggi comunicativi del reportage nel campo dell'arte. 


Partecipa a vari workshop, mostre collettive e residenze artistiche come la mostra fotografica presso il Padiglione di Arte Contemporanea di Milano con un progetto realizzato durante il workshop “"Armin Linke. L'apparenza di ciò che non si vede” presso il PAC stesso. Nel 2017 viene selezionata come vincitrice del Premio Donghi. Nel marzo 2018, Il progetto “Solitudinem” viene selezionato da fotografi ed esperti della prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos e Contrasto per la collettiva “ORA” presso Fondazione Carispezia, La Spezia. 


Nel settembre 2019 viene selezionata da Canon Italia e Canon France per partecipare al Canon Student Program 2019 nella cornice di uno dei maggiori festival di fotogiornalismo, il Visa Pour L'image a Perpignan. Nel ottobre 2019 è tra i nove finalisti del Talent Prize 2019 organizzato da Insideart Magazine, ricevendo per l’opera  “Villaggio dei Fiori” la Menzione Speciale della Giuria ed espone la stessa presso il Mattatoio, Museo di Arte Contemporanea di Roma. Nel 2020 termina i suoi studi di fotografia a CFP Bauer Milano e nello stesso anno viene selezionata per il prestigioso Eddie Adams Workshop di giornalismo. Nel 2020 fonda la casa di curatela fotografica, Maatrice, di cui ne riveste il ruolo di Direttore esecutivo. Ecco cosa ci ha raccontato:


foto di Riccardo Ruffolo

HM: come e quando è nata la tua passione per la fotografia?

AT: Sinceramente non so il momento preciso in cui mi sono avvicinata intimamente alla fotografia, sicuramente sono sempre stata molto affine all’ambiente dell’arte sin da quando ne ho memoria. 

Sono sempre stata anche un po’ nerd, mi piace sperimentare nuove tecniche artistiche: quando ero al liceo artistico frequentavo l’indirizzo figurativo, quello più classico e accademico, ricordo che ero perennemente combattuta sulla questione della mia scelta di indirizzo e se non fosse stato il caso di scegliere l’indirizzo multimediale e quindi più legato al cinema e alla fotografia. Stessa cosa è successa durante i miei studi all’accademia di belle arti di Brera, frequentavo Nuove Tecnologie dell’arte, ma a lezioni terminate mi trovavo sempre nelle aule di indirizzo di pittura e scultura. Il mondo dell’arte nel suo senso e nella sua direzione attuale non mi stanca mai, ne sono profondamente contaminata. 

Sicuramente la fotografia è il mio mezzo primario di espressione, è cresciuta insieme a me in diversi aspetti. È stata la mia compagna di viaggio durante diversi viaggi in solitaria, ma alla fine grazie a lei non ero mai sola, mi ha sempre aiutata ad entrare in contatto con diverse verità e realtà. 


HM: cosa rende una storia o una situazione interessanti per costruire un reportage fotografico?

AT: Solitamente lascio agire molto spesso l’istinto e il mio inconscio. Non appena ho realizzato delle fotografie su un soggetto o tema, inizia immediatamente un prima parte di editing molto “raw” dove riordino le idee delle mie prime indagini informali per capire in che direzione sta andando il mio occhio e il mio io. 

Molto spesso mi ritrovo a trattare il tema di “comunità” e come questa interagisce con dei luoghi e degli spazi, come i metal cowboys del deserto Kalahari (Botswana) o il mio attuale progetto ongoing sui caminanti in Sicilia. 


HM: durante un lavoro ti è mai capitato di pensare: "no questa fotografia non a scatto?”

AT: Si mi è capitato spesso; noi fotografi siamo amanti del ricordo e del tempo, per nostra natura. Ma come in ogni amore, si compone delle scelte ogni giorno, che portano a migliorare o meno il rapporto. È la stessa identica cosa, una questione di etica, qualità e rispetto. 


HM: Cos'è Maatrice?

AT: Maatrice nasce da un mio desiderio di accendere i “fendinebbia” in questo caos fotografico causato dai social media, tanti aspetti positivi ma anche negativi, così interviene Maatrice creata nel marzo 2020 dall’unione delle forze mie e della mia collega Lavina Nocelli. Maatrice promuove l’arte della diversità, curando nuovi progetti per metterli in dialogo con nuovi scenari di osservazione. Rielabora la dimensione fotografica riscrivendo gli spazi stessi in cui essa opera. L’arte dell’immagine, vista come un grande archivio da osservare, che nella sua pura trasformazione concettuale diviene nuova esposizione sensibile.

Maatrice è un’agenzia di curatela fotografica.


HM: Come evolverà nei prossimi anni il reportage fotografico?

AT: Si sta già evolvendo, se solo pensiamo all’immagine di informazione, quindi magazine, riviste, periodici, blog…l’immagine che viene utilizzata non è solo quella appartenente all’ambito del photo reportage ormai, ma bensì oltre alla fotografia c’è la documentaristica, la fotografia digitale (nel senso più “estremo” attualmente, con il supporto del 3D) e la fotografia concettuale spesso utilizzata per parlare di temi delicati legati all’intimità della persona. 

In tutto questo ambiente il reportage fotografico si sta adattando. Nella mia tesi di laurea cito ad esempio, la mostra fotografica itinerante “Un'antologia” di Paolo Pellegrin, attualmente in mostra alla Reggia di Venaria. La mostra è un'immersione totale nella carriera e soprattutto nel pensiero del fotografo, alla fine di esso ci si trova davanti una parete con affisse tutto il lavoro di Pellegrin: le sue fotografie, sketch,  diari e appunti. Un complesso pensiero dell’applicazione di un linguaggio e del mezzo del reportage; credo che questo sia un punto di snodo evidente allo sguardo della complessità del reportage fotografico, da sempre “catalogato” in un unica via di esposizione ed espressione che però, partendo già da come si “scatta” la fotografia, ne contiene diverse espressioni ermetiche sia dei soggetti rappresentati sia di chi ne realizza la fotografia, spesso sottovalutati dal primo utilizzo necessario, l’informazione. 


"Now Comedy" Milano 2021 - Ongoing

"Community Hall" Botswana2019

 

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