intervista di Michele Gavazza
HM: per prima cosa parlaci un po' di The Wisteria Suites, la genesi dell'album.
MO: The Wisteria Suites è il risultato di una ricerca personale molto profonda e anche un po' travagliata, oserei dire. Prima di iscrivermi al Conservatorio Paganini (Ge) conoscevo molto poco del mondo del Jazz, per cui se da una parte ho provato da subito un grande amore per questa musica dall'altra mi sono sentita spesso un'estranea.
Durante la specializzazione, spinta anche dai compiti e dalle lezioni di Pietro Leveratto, Andrea Pozza e Guido Festinese, ho capito quanto fosse importante il mio passato musicale, caratterizzato dal rock, dal pop e dalla musica italiana, e così ho provato ad immaginare alcuni dei miei brani preferiti sotto una nuova ottica, cercando di suonarli senza stravolgerli, così che scorressero in modo naturale, e lasciando spazio all'improvvisazione, non tanto intesa come "fare un assolo" ma come spazio perché la musica "accada sul momento".
Con lo stesso spirito ho lasciato che nascessero le mie composizioni: il punto era essere fedele a me stessa senza forzature, ricercando solo la naturalezza, e provando ad immedesimarmi sempre in chi ascolta.
La parte più facile è stata scegliere chi avrebbe potuto compiere questo viaggio con me: primo fra tutti Giorgio Griffa, batterista e percussionista, che oltre ad essere un grande musicista è colui che ha creduto fin dall’inizio nelle mie capacità e mi ha sempre spronata; Nicola Bruno era poi l’ideale, non solo perché dotato di un'estrema sensibilità musicale, ma perché il basso elettrico era la scelta perfetta per questo repertorio; infine Andrea Pozza, che già in classe aveva dimostrato interesse e curiosità per le mie idee e che impersona in primis la componente Jazz del disco, portando tutta la sua infinita esperienza e sapienza.
HM: qual è il primo disco che hai comprato?
MO: Onestamente non saprei, temo di doverti rispondere il Festivalbar Rosso del ’99. C’è però da dire che i miei genitori hanno sempre ascoltato moltissima musica, quindi io attingevo alla loro ampia raccolta: tra quelli che ho consumato i Greatest Hits dei Queen, The Beatles 1, la colonna sonora dei Blues Brothers e Bury the Hatchet dei Cranberries. Poi a 12 anni ricordo di aver comprato la colonna sonora di Moulin Rouge al Virgin Store di Londra con mia mamma: è sicuramente quello a cui sono più affezionata!
HM: in quale momento della tua vita hai pensato: voglio fare la cantante?
MO: Inizialmente volevo fare l'attrice, nonostante studiassi canto da quando avevo 14 anni. Dopo le superiori sono entrata alla Scuola di Formazione dell’Attore per studiare musical, ma ho dovuto lasciare dopo pochissimo. Per due anni ho errato tra le diverse università di Torino in cerca di cosa fosse meglio per me, fino a che non ho capito che l'unica cosa in cui ero disposta a dare il massimo era la musica. E così è stato! Anche se spesso ripenso al mondo del musical, mia grande passione.
HM: canti principalmente jazz, ti sei mai cimentata con altri generi?
MO: Canto spesso altri generi, un po' per lavoro, un po' per svago e un po' perché insegnando canto mi piace essere pronta a tutto. Tuttavia la musica Jazz è quella che riesce a darmi di più.
HM: cosa ti manca di più dei concerti dal vivo?
MO: Lo scambio. Quando si va a sentire qualcuno che suona dal vivo, si sceglie di impiegare il proprio tempo in un modo che ci si augura sia ben speso. Così come quando vado a sentire i concerti ne esco ricaricata e piena di vita, allo stesso modo spero sempre di riuscire a dare il più possibile a chi mi viene a sentire, senza pretese. E la magia consiste proprio in questo scambio.
I concerti online e i video ci hanno aiutato a migliorare alcuni aspetti della nostra arte e hanno fatto sì che potessimo ascoltare anche chi sta dall'altra parte del mondo, ma niente è come scambiare musica (o danza o teatro) con un altro essere umano.