venerdì 26 giugno 2020

Fabio Marza - Macugnaga Blues Experience 2020

 foto, video e testo di Michele Gavazza

Abbiamo intervistato il direttore del Macugnaga Blues Experience nonchè leader della Fabio Marza Band. Fabio a margine dell'edizione 2020, riuscita bene nonostante le limitazioni dovute all'emergenza Covid 19, ha risposto alle domande di Hashtag Magazine. Ecco cosa ci ha raccontato:







martedì 23 giugno 2020

Maurizio Glielmo Gnola - Macugnaga Blues Experience

foto e intervista di Michele Gavazza

Edizione 2020 in tempo di Covid per Macugnaga Blues Experience. La manifestazione ridotta ad un solo pomeriggio a causa delle limitazioni imposte dal corona virus, ha visto la partecipazione del chitarrista blues Maurizio Glielmo detto Gnola. Alla fine del concerto Maurizio ha risposto ad alcune domande di Hashtag Magazine. Ecco cosa ci ha raccontato:










venerdì 19 giugno 2020

Madaski - Musicista e Produttore

foto Tony Stringer

intervista di: Michele Gavazza

Abbiamo intervistato Madaski, al secolo Francesco Caudullo, musicista e produttore musicale piemontese. Noto sopratutto come fondatore degli Africa United, ha pubblicato anche diversi dischi come solista. Durante una pausa del lavoro in studio, Madaski ha risposto alle nostre domande, ecco cosa ci ha raccontato:

HM: Qual'è il primo disco che hai comprato?
Madaski: The Song Remains the Same dei Led Zeppelin, un doppio album dal vivo, in vinile.

HM: Quando hai pensato: “Ok, farò il musicista?”
Madaski: Direi da subito, nel senso ho cominciato a studiare pianoforte a 7 anni, a 17 mi sono diplomato al conservatorio, a 18 anni ho cominciato a insegnare musica alle medie, poi dai 19 in poi suonavo in diverse bands e lavoravo in studio di registrazione come produttore. A 26 anni mi sono reso conto che potevo lasciare l'insegnamento e fare musica come professione principale.

HM: Della tua carriera ti chiedo di raccontarci due episodi: la collaborazione, come pianista, all'album Tre Volte Lacrime dei Diaframma e la direzione d'orchestra per i Dr. Livingstone a San Remo.
Madaski: per quanto riguarda i Diaframma, frequentavo la I.R.A. Records di Firenze, etichetta indipendente che produceva molte band tra cui i Litfiba e appunto di Diaframma, ho conosciuto Federico Fiumani che mi ha chiesto di suonare il pianoforte in alcuni pezzi di Tre Volte Lacrime, poi più recentemente ho collaborato con loro anche in Siberia, sia nel cantato che per il remix. Per quanto riguarda Sanremo coi Dr Livingstone: dagli anni 90 oltre che il mususicista facevo il produttore musicale, lavoravo per diverse major di allora tra cui la CGD, la loro casa discografica, che aveva affidato la produzione dei Dr Livingstone a me e a Roberto Vernetti. Al momento di presentare il brano “Al Centro del Mondo” a Sanremo la scelta del direttore d'orchestra è stata automatica, visto che ne avevo le competenze. L'esperienza è stata interessante e positiva tanto che mi sono riproposto come direttore per un ensamble di archi durante un tour degli Africa United nel 2003.

HM: Con chi ti piacerebbe, o anche ti sarebbe piaciuto collaborare?
Madaski: Nell'ambito della pura fantasia direi Peter Gabriel che ho sempre ammirato e Trent Reznor dei Nine Inch Nails, mi piace la sua musica oscura e ricercata.

HM: Parlaci un po' dei nuovi progetti in lavorazione
Madaski: I progetti a cui sto lavorando in parallevo sono due, il nuovo disco degli Africa United, uscirà l'anno prossimo, sarà il disco del quarantennale della band 1981-2021; al momento siamo a buon punto, abbiamo registrato tutti gli strumenti e a breve cominceremo a lavorare ai testi e alle voci. Invece per quanto riguarda il mio nuovo disco solista, il quinto della mia carriera, sarà un disco pianistico quasi del tutto strumentale, che si avvicina alla musica contemporanea.


 foto Alex Caroppi

 foto Steve Panariti

foto Emiliano Picciolo

venerdì 12 giugno 2020

The Alien Cormorant & Cecilia Miradoli - From My House to Your House


testo di Michele Gavazza  foto The Alien Cormorant & Cecilia Miradoli 

Abbiamo intervistato Cecilia Miradoli e Alan Cormack. In queste settimane di lockdown è nata una collaborazione a distanza tra loro che ha prodotto un EP di 5 tracce che verrà pubblicato tramite Bandcamp e iTunes il 5 giugno 2020. Tutti i proventi delle vendite online del EP verranno devoluti in beneficenza. Gli artisti si sono avvalsi della collaborazione di Max Tarenzi che ha registrato la parte milanese dei brani. Ecco cosa ci hanno raccontato:


HM: Com’è nata l’idea di collaborare?
Alan : Mi sentivo con Cecilia via Fb perché lei aveva bisogno di alcune informazioni riguardanti il tour nel Regno Unito della sua band , i PINHDAR. Ho ascoltato alcune canzoni dei PINHDAR e ho immediatamente adorato la sua voce. Le ho chiesto se le andava di contribuire con le sue idee ad alcune canzoni che avevo scritto. Per fortuna ha detto di sì! Abbiamo iniziato a scambiare idee tramite e-mail e il risultato sono le cinque canzoni del nostro EP "From My House To Your House". Trovo affascinante ascoltare ciò che Cecilia ha creato usando la mia musica come base. È stato un progetto molto stimolante su cui lavorare!
Cecilia : con Alan ci siano scambiati pareri e idee sulla pandemia ma anche , sulla politica, su cibo , libri e cinema e abbiamo trovato molti punti in comune su tanti argomenti .Quando mi ha chiesto se mi andava di fare un EP ho aderito con entusiasmo , mi ha inviato le tracce su cui io ho poi sviluppato i testi e le melodie ispirandomi alla situazione di lockdown che entrambi stavamo vivendo sebbene in due paesi distanti e diversi. E’ stato bello e stimolante!

HM: Oltre al nuovo progetto musicale, come hai trascorso la quarantena?
Alan : Ho trascorso molto tempo ad apprezzare la natura. Ho la fortuna di vivere vicino a un fiume e in aperta campagna, quindi ho approfittato dell'ascolto e della visione degli uccelli. Ho un lavoro diurno, quindi sto ancora lavorando normalmente. Devo dire però che la maggior parte del mio tempo in lockdown è stato dedicato a lavori promozionali e alla realizzazione di video per il nostro EP.
Cecilia: Sempre con la musica , oltre al progetto con Alan ho registrato l’album del mio duo i PINHDAR nel nostro studio di Milano che è anche nello stesso palazzo in cui vivo e purtroppo, non potendo andare fuori, le mie passeggiate sono state tutte nel piccolo cortile del mio condominio a volte di ore se c’era il sole! Ho passato un periodo un po’ claustrofobico che credo si rifletta nei testi e nel mood delle canzoni in entrambi i progetti. 
HM: Qual è il primo disco che hai comprato?
Alan: Il mio primo album è stato "Give'em Enough Rope"dei The Clash. Ho avuto la fortuna di vederli suonare dal vivo - ero molto giovane !!! Il primo singolo che ho comprato è stato "No More Heroes" dei The Stranglers.
Cecilia: i primi due album che ho comprato sono stati “Violator“ dei Depeche Mode e "Wish” dei The Cure che ho poi visto, tantissimi anni dopo, dal vivo a Milano. 
HM: Raccontami un po'del nuovo EP e della raccolta fondi ad esso collegata.
Alan:Abbiamo deciso in una fase iniziale che avremmo voluto donare in beneficenza tutti i soldi che abbiamo fatto da qualsiasi vendita su Bandcamp. Entrambi abbiamo scelto un ente di beneficenza ciascuno. La mia organizzazione benefica scelta è Dundee Foodbank. Fanno un lavoro fantastico nell'aiutare persone poco privilegiate, che vivono in Scozia. Trovo disgustoso che nel 2020 ci siano ancora famiglie che non possono permettersi di nutrire i propri figli. Mi fa così arrabbiare che il governo del Regno Unito offra poco o nessun aiuto. Quindi, se possiamo aiutare a nutrire qualcuno dalle vendite del nostro EP, sarebbe positivo.
“From My House to Your House”, il titolo del nostro EP è ispirato ad alcuni graffiti che Cecilia ha visto a Milano. Mi ha inviato una foto e ho pensato che dovremmo usarlo come titolo. Riflette anche il modo in cui scambiamo idee e musica.
Cecilia: il nostro sarà necessariamente un piccolo contributo ma è importante comunque. Ho scelto di donare I proventi derivanti dai download del nostro EP al Policlinico di Milano perché è l’ospedale più vicino a casa mia , sentire per tutti questi mesi le sirene delle ambulanze che probabilmente portavano proprio lì i malati di Covid mi ha profondamente turbato e condizionato tanti pensieri quindi è stata una scelta ovvia e spero possa aiutare chi ci ha aiutato e continua a farlo.


Qui di seguito i link ai video di due singoli.











sabato 6 giugno 2020

Romina De Novellis - Performance come sintesi tra danza e antropologia.

La Sacra Famiglia Napoli 2016 © photos DE NOVELLISBORDIN 2015


Intervista di Michele Gavazza

Abbiamo intervistato l'artista e performer Romina De Novellis, ecco cosa ci ha raccontato:

HM: Hai una formazione di alto livello come ballerina e anche lauree in Sociologia e Antropologia, che peso hanno i tuoi studi nel percorso come artista performativa?

RDN: La danza è ormai un’esperienza lontana nel tempo. Chiaramente però è stata importantissima per poter in seguito lavorare sulla resistenza fisica, sul gesto essenziale e asciutto, sulla presenza e sul corpo come materia.
L’antropologia è il mio terreno di indagine e di ricerca. Parto dagli studi in antropologia per capire le dinamiche del Mediterraneo e cercare di tradurle attraverso il mio lavoro.
Il corpo in antropologia è un argomento centrale per capire le pratiche e le soluzioni che in alcuni casi hanno permesso alla differenza di integrarsi nel contesto sociale. Penso che la danza e l’antropologia possano dialogare in strettissima correlazione e credo che la performance sia l’essenza di questo incontro.

    HM: I tuoi lavori sono molto fisici, le performances durano anche 12 ore, come ti prepari a livello fisico e mentale?

RDN: Ho una pratica quotidiana, che viene appunto dalla danza. La preparazione è totale e completa. Ogni giorno mi dedico al lavoro intellettuale e fisico. Non si tratta di eseguire degli esercizi o di svolgere un allenamento quotidiano, si tratta di proiettare la mia pratica fisica in un contesto di ricerca e di riflessione.
Prendo tantissima ispirazione dai bambini gravemente autistici a cui da diversi anni dedico gran parte della mia pedagogia. Grazie alle mie ricerche in antropologia e alla mia pratica di performer, ho integrato la differenza nel mio campo d’azione e nei miei studi quotidiani.

    HM: Hai portato i tuoi lavori in giro per il mondo, rimanendo comunque molto legata alle tue origini. Quanto conta il luogo nelle tue performances?
RDN: Quasi tutti i miei lavori si installano nello spazio metropolitano e nel contesto urbano. Il Mediterraneo è fonte di ispirazione teorica e artistica, mi interessa la posizione dell’Italia in un contesto Occidentale ma con questo affaccio diretto sul Mediterraneo, un braccio teso verso l’Africa che purtroppo troppe volte è stato risolto in un’apertura o chiusura dei porti, senza considerare le dinamiche sociali e demografiche che sono alla base di questi problemi. Le mie performance, in maniera poetica e estetica, raccontano questi mondi, testimoniano il tempo presente e danno voce a chi non ha diritto di parola.

    HM: Come stai trascorrendo la quarantena?
RDN: Ho dato vita al progetto #chezmaddalena, un’installazione partecipativa e una performance serale del confinamento. Durante la quarantena ho proiettato tutte le sere dalla stanza di mia figlia Maddalena a Parigi, film, video, documentari da tutto il mondo. Ogni sera interveniva un curatore internazionale che a sua volta proponeva un paio di artisti, a volte sono stati i ricercatori a proporre le proiezioni. Durante 52 giorni ho invitato un centinaio di artisti e curatori internazionali, tutti insieme abbiamo condiviso un’azione di resistenza nei confronti della crisi e del pochissimo spazio che l’arte e la cultura occupano in questo periodo di precarietà certamente fisica, poi economica, ma che sta già diventando sociale. Una società che vuole curarsi, interviene sulla cultura e sull’educazione, è soltanto attraverso la crescita della sensibilità e delle menti delle persone che possiamo farci tutti carico della crisi. Il mio confinamento e la condivisione nello spazio pubblico, sulla facciata del palazzo di fronte alla stanza di mia figlia, ha permesso la condivisione delle riflessioni comuni, la condivisione delle angosce che il COVID-19 ha creato in noi tutti e l’importanza delle relazioni che l’arte deve avere con lo spettatore (i miei vicini di casa) e viceversa. Non può e non deve esistere un’arte invisibile, ridotta a un link su internet. L’arte deve continuare ad essere tangibile, deve continuare a sensibilizzare il pubblico, ad accompagnare il pensiero in prospettive sempre più profonde e lontane. L’arte non deve subire il confinamento, i nostri politici dovrebbero fare lo sforzo di risolvere la relazione tra l’arte come evento, che rende fragile la presenza dello spettatore in tempi virali, e l’arte come produzione, educazione, prospettiva, pensiero. Tutti questi elementi, che compongono le dinamiche artistiche, sopravvivranno a qualsiasi pandemia se sufficientemente accompagnati e sostenuti, è su queste che si deve investire. Al momento sia in Francia che in Italia, non mi sembra siano questi gli obiettivi dei nostri politici, l’indifferenza e la superficialità nei confronti dei lavoratori dei diversi settori dell’arte creano un imbarbarimento sociale e un impoverimento delle culture. In Italia, soprattutto, sono profondamente amareggiata di sentir parlare in televisione e dagli animatori televisivi di investire nell’arte e di credere negli artisti. Penso che i linguaggi della televisione e dell’intrattenimento abbiano altri disagi in questo momento storico, hanno quindi altri diritti. L’arte e la cultura sono indipendenti e come tali devono essere trattate in altre sedi e da altre persone. In Francia questa distinzione è davvero molto chiara, tale differenziazione non minimizza alcun percorso e, al contrario, ponendosi in maniera chiara e logica nei confronti dei diversi linguaggi, evita disparità e incoerenze.

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